Il futuro passa anche da qui. Da queste diciassette tracce che ricalcano sfumature diverse, in un unico stile che abbraccia il pop e tende la mano al synth. “Dua Lipa” è il primo album dell’omonima cantante, classe ’95, della quale si dice un gran bene.
L’inglesina di origini kosovare, dopo aver sfornato il primo fortunatissimo singolo “Be the one” nel 2015 ha fatto ancora parlare di sé per pezzi come “Hotter Than Hell”, “Blow Your Mind (Mwah)” e soprattutto per “No Lie”, in featuring con Sean Paul, e per “Scared to Be Lonely”, realizzato con Martin Garrix.
Un disco auspicato da tempo e finalmente presentato alla critica. Dodici pezzi per la versione classica, diciassette per quella deluxe. In entrambi, anche i singoli antecedenti all’album. Notiamo una Dua Lipa a suo agio con le canzoni più ballabili, mentre sorprende ma non incanta la tecnica più intima del “piano e voce”. Prova superata a pieni voti per la faccia dance del disco, mentre quella “lenta” non rende quanto dovrebbe.
Tra le hit del progetto, oltre ai singoli già estratti, troviamo “New Rules” e “Dream”, mentre arrivano leggermente in ritardo “Lost in your Light”, “Bad Together” e “Last Dance”. L’indole più romantica e intima la rintracciamo in “Garden” e “No Goodbyes”, mentre tra i pezzi più ballabili c’è di sicuro “Beggin”. Per descrivere le note e le tonalità di “Genesis” prendiamo in prestito “Fight for this Love” di Cheryl Cole, dove le assonanze sono molte, mentre “IDGAF” è la più spensierata del disco. Ci si aspettava di più da “Homesick”, piano e voce che non colpisce al primo ascolto. Ma quello della ragazza timida e innamorata è un vestito che non scende come dovrebbe dalle spalle di Dua Lipa, ancora poco incisiva in questa sfumatura.
Il suo primo album è tutto sommato un buon prodotto ed è servito soprattutto a evidenziare quale strada percorrere. Aspettative mantenute a pieno, se parliamo di synthpop. Un’artista da tenere sotto controllo, perché domani potrebbe davvero scalare le classifiche internazionali.