Raccontare il futuro, partendo dal presente con un linguaggio d’altri tempi: questo è Bianco e il suo nuovo album “Storia Del Futuro”. Parlo di “linguaggio d’altri tempi” perché ascoltando questo disco si ha come l’impressione di trovarsi davanti ad un lavoro che da anni mancava nel panorama musicale italiano. Non parliamo di ere geologiche ma, sin dal primo ascolto, mi sento proiettato in quell’atmosfera che si respirava in Italia una decina d’anni fa, ai tempi dei primi lavori di band come Afterhours, Perturbazione, Marta Sui Tubi, Mambassa, giusto per fare alcuni nomi. Un pop delicato che non rinuncia al calore del rock alternativo e ad un’esigenza che si percepisce fin da subito, nell’avere qualcosa da comunicare. Bianco è un cantautore che ha voglia di raccontare, una sensazione che traspare nettamente dai suoi testi. Non si lascia mai prendere troppo da quel vizio che forse fin troppo spesso emerge trai parolieri italiani, di giocare con le parole. Il tema ricorrente è l’amore e le sue infinite sfumature, come un traghetto in grado di portarci verso le sponde del futuro. La capacità di Bianco di scrittura non è banale, non è scontata, è diretta e senza molti fronzoli ma non è assolutamente banale.
Il disco è variegato, si alternano brani dalle atmosfere più quiete a diversi pezzi con potenzialità da hit (La Notte Porta Conigli, Mi Piace Come Ridi Tu). È soprattutto la prima metà dell’opera ad avere il piglio più radiofonico mentre, nella seconda parte ci si lascia andare a morbide ballate (Morto, Jpg, Quasi Vivo). L’opera scritta suonata e prodotta dallo stesso Alberto Bianco vive nelle sfumature dei tanti suoni che ben sanno mescolarsi. Sedici musicisti (tra cui Gionata Mirai de Il Teatro degli Orrori, Mr. T-Bone degli Africa Unite e Bluebeaters, Peter Truffa dei Bluebeaters) hanno partecipato alle registrazioni arricchendo il disco di tanti strumenti: chitarra, banjo, pianoforte, synth, sax, trombone, tromba, violoncello, contrabbasso, batteria, drum machine, timpani. È un disco ricco ma mai pesante.
Il singolo che anticipa l’uscita dell’album “La Solitudine Perché C’è?” vede la partecipazione di Tommaso Cerasuolo dei Perturbazione, a riconferma di quale sia il mondo sonoro di appartenenza e dal quale il cantautore torinese prende spunto. Le strizzate d’occhio sono molteplici e la voce stessa a volte si avvicina anche troppo a quella di Manuel Agnelli ma è una semplice sensazione, nulla più. Undici brani che scorrono facili ma non scivolano, sanno aggrapparsi all’attenzione dell’ascoltatore mettendogli addosso la voglia di far partire da capo il cd. Sicuramente un buon esempio di coesione tra pop, rock alternativo e cantautorato. Ben fatto!
Giuseppe Guidotti
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