I Coldplay sono sempre stati un gruppo controverso. Questo sin dal loro debutto, quel “Parachutes” (2000) che li rivelò al mondo e che li portò ad esser etichettati quali epigoni dei Radiohead prima maniera. Poi attraverso gli anni e un paio di album Chris Martin e compagni mutarono lentamente volto, venendo questa volta paragonati a degli U2 dal gusto brit pop. Fino ad arrivare a “Viva La Vida” (2008) e alle sue tentazioni ‘sperimentali’. Il problema è che i Coldplay non hanno mai condiviso la natura ‘irregolare‘ dei Radiohead né l’epicità della band di Bono; almeno, mai fino in fondo. A questi li ha accomunati, e li accomuna, la vocazione pop insita nel loro DNA, tuttavia quel che mancherà sempre agli autori di “Trouble” (più qualche altra decina di hit) è una personalità davvero spiccata, quella che risulta indispensabile per compiere ‘rivoluzioni’ nel mondo della musica rock. Perché rivoluzionari non lo sono mai stati e, ad esser spietatamente sinceri, neppure molto originali. Il loro più grande talento (e, attenzione, è un talento non da poco) è quello di essere dei bravissimi assimilatori: praticamente tutto quel che è passato nella musica popolare degli ultimi dieci anni loro l’hanno percepito, metabolizzato, rielaborato e risputato fuori aggiungendoci tratti personali e quel tocco di spleen tipicamente british. La critica a volte ha apprezzato a volte meno, il pubblico li ha trasformati in un gruppo da sold out ad ogni concerto e vendite colossali.
“Mylo Xyloto” forse non è il loro miglior disco, eppure ne mostra il volto più sincero. Quello di un gruppo pop (e ben poco rock) della più bell’acqua, che in ogni brano cerca la melodia perfetta e l’effetto più accattivante. Messa da parte ogni velleità ‘progressiva’ mostrata nel predecessore, il quartetto inglese torna alla pura forma – canzone e, sopra a tutto, a una tensione spasmodica per l’immediatezza totale. Lungi dall’essere semplice ruffianeria, il loro è un tentativo di essere semplicemente quello che sono, da qui le dichiarazioni su Adele e Justin Bieber quali loro diretti rivali e il duetto su “Princess Of China” con una popstar conclamata come Rihanna. Il risultato finale è gradevole: accanto ad episodi in ‘technicolor’ come “Charlie Brown” e “Hurts Like Heaven“, ce ne sono altri più spogli (come può esser spoglio un pezzo dei Coldplay) quali “Us Against The World” e “Up In Flames“, che esaltano l’inclinazione intimista dei Nostri. A risultare più deboli sono proprio i singoli, dal synth – pop anodino di “Every Teardrop Is A Waterfall” alle venature orchestrali e sin troppo pompose di “Paradise“, passando per i beat piuttosto scontati del featuring della discordia. A colpire, nell’insieme, è comunque l’impronta quasi ‘dance’ su cui poggiano molte canzoni, e il grande risalto che vien dato alle tastiere. La palma di momento più ‘rock’ se l’aggiudica “Major Minus“, introdotta da un giro di chitarra secco e scandito e in grado di regalare un ottimo assolo illuminato da una buona dose di elettricità.
Detto delle (lievi) differenze, “Mylo Xyloto” presenta infine i consueti pregi e difetti che da sempre hanno contraddistinto il complesso. Produzione curatissima e scintillante, ma anche ridondante e pregna di sovra incisioni, attitudine divisa fra morbidezze da cameretta e sussulti da stadio (cfr. “Up With The Birds“), grandissima abilità nel costruire motivi canticchiabili ma ossessione del dover piacere a tutti ed a tutti i costi. Beh, quest’ultimo è il tratto caratteristico di tutti i grandi gruppi popolari, e i Coldplay questo lo sono a tutti gli effetti, innegabilmente. Chi in passato li aveva scambiati per qualcos’altro, disdegnerà quest’ultimo lavoro; per tutti gli altri si tratta di un disco che può riservare tre quarti molto piacevoli.
Stefano Masnaghetti