[Folk] Modena City Ramblers – Onda Libera (2009)
Onda libera – Libera terra – Valzer chiuso in soffitta – Il naufragio del lusitalia – Figli del vento – Il mulino e il tuo giardino – Di corsa – Prigioniero di chi? – C’è tanto ancora – Libera mente – Ballata della dama bianca – L’uomo nell’alto castello
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I Modena City Ramblers sono ormai sulla scena folk italiana da sedici anni e con “Onda Libera” sono arrivati al loro undicesimo disco. Pionieri di quel combat folk che li ha resi famosi partendo dal mitico “Riportando tutto a casa”, di soddisfazioni in questi anni ne hanno regalate parecchie, tuttavia ascoltando questo disco varie volte qualcosa non torna, è forte l’impressione che manchi quella scintilla speciale a cui i Modena c’avevano abituato.
Lo stile si è spostato dal precedente lavoro che manteneva toni più folk di matrice irlandese, a colori e note che ricordano la musica zigana e quella popolare del sud: ne è esempio la titletrack “Onda Libera” e la seguente“Libera Terra” (ehi ma non ricorda un po’ “Terra Rossa” di Cisco? ndr) mentre “Il Naufragio del Lusitalia” sembra strizzare l’occhio a “L’ultima Mano”, molto meno veloce e senza quella verve che una volta caratterizzava i Nostri; cosi è per la seguente “Figli del Vento” dal ritmo si più serrato ma con un ritornello che lascia perplessi.
La ballata di turno è affidata alla bellissima voce di Betty, solista anche ne il “Valzer chiuso in soffitta” (forse era meglio lasciarlo in soffitta? ndr), ma “Il mulino e il tuo giardino” è anni luce da una “Canzone della fine del mondo”, e sa di riempitivo. Va meglio con l’arabeggiante “Prigioniero di chi?” che ha molto dell’atmosfera respirata in “Radio Rebelde” e si fa forte di un testo incisivo; il target però non viene mantenuto e subito dopo si ricade con “C’è tanto ancora” (praticamente la cover Folk di Daitarn 3…) con liriche abbastanza banali.
Si salvano in chiusura il reggae di “Libera Mente”, tra i migliori episodi del lotto, e la “Ballata della dama bianca” con il suo ritmo serrato e incalzante che ricorda un po’ i vecchi CSI. Chiude il disco la riflessiva e soporifera “L’uomo nell’alto castello”.
Che dire, mi aspettavo sicuramente di più dai MCR, soprattutto avendo apprezzato “Dopo il lungo inverno” che, sebbene fosse orfano di Cisco, riservava sorprese piacevoli. Speriamo che sia solo un passo falso, intanto torno a sentire “Transamerika”.
Renato Ferreri