A due anni di distanza da Il Sorprendente Album Di Debutto Dei Cani, sorprendente non solo nel nome ma anche nei fatti, la band romana capitanata da Niccolò Contessa esce con Glamour, secondo lavoro in studio de I Cani. Il cd è anticipato, quasi a sorpresa, dal singolo Niente Di Twee, un brano che sembra ricalcare piuttosto fedelmente la strada tracciata dal primo disco e rimarcata nelle uscite I Cani Non Sono I Pinguini Non Sono I Cani e Con Un Deca. Si notano però due elementi importanti, segnali di ciò che ci aspetta nella nuova release: un approccio maggiormente cantautorale e l’accentramento dei temi dei testi intorno alla figura del cantante.
Va detto che il singolo rimane a mio avviso il pezzo più riuscito: riesce per l’appunto a mantenere in equilibrio passato e presente della band senza perdere di impatto. Il resto dell’album invece zoppica parecchio. Si alternano momenti in cui sembra di sentire ancora l’esordio, ad altri in cui il tentativo di spostarsi verso strade più propriamente cantautorali (citando da Battiato a Bianconi, passando per Gazzè e Raina), non riesce a pieno.
Il talento nella scrittura dei testi rimane, è impossibile non rendergliene atto. Se però nel primo lavoro i testi hanno avuto un’importanza fondamentale per il raggiungimento del successo, usando lo sfondo sociale in prestito per critiche e analisi più o meno ciniche, in “Glamour” quasi tutto ruota intorno alla figura di Niccolò e alla sua nuova vita. Non manca certo una massiccia dose di autoreferenzialità: “con le velleità non ci si vive”, “potevo pure finirla con i conti in tasca, di contare i dieci euro in cambio dei Long Island e tra quanto uscivano le mie interviste”. Ci ritroviamo quindi davanti a un’uscita che doveva consacrare un talento e che invece apre voragini di dubbi su quello che è stato e quello che sarà il futuro di questa (one man) band.
I problemi palesi sono quantomeno due: un genere troppo particolare e claustrofobico nel quale è difficile evolversi (con una incapacità oggettiva vocale da parte del cantante nel fare il cantautore), un centro dell’attenzione spostato da un’analisi sociale ad una analisi del sé che se pur artisticamente apprezzabile risulta certamente meno interessante.