John Butler Trio, Flesh & Blood

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Quando si ha a che fare con artisti autentici come John Butler e il suo John Butler Trio, addentrandosi nella loro discografia è come se si imparasse a conoscerli, attraverso un percorso in cui è impossibile (e limitante) scindere l’aspetto umano da quello artistico. Così con “Flesh & Blood”, sesto album in studio, è come se il cantautore australiano avesse scelto di fidarsi ciecamente e mostrarsi senza filtri.

Questa visione romantica, che potrebbe sembrare il frutto di una prospettiva strettamente personale, trova in realtà un riscontro già all’interno della band. Diversamente dal passato John Butler ha scelto di scrivere ben tre brani insieme agli altri componenti del Trio, Byron Luiters e Nicky Bomba (che ha successivamente lasciato la band, sostituito da Grant Gerathy). Allo stesso tempo i due musicisti hanno compreso il valore dell’apertura di Butler, tanto che il classico step di arricchimento dei pezzi sembra aver subito un profondo cambiamento. Rispetto ai precedenti lavori, in particolare “Grand National” e “April Uprising”, l’aggiunta delle bluegrass jams che li ha sempre caratterizzati ha perso audacia, probabilmente nel rispetto delle primitive intenzioni del songwriter. L’opener stessa, “Spring to Come”, è un po’ atipica, con le percussioni più defilate e meno incisive. Solo in “Livin’ in the City” e “Devil Woman” il rock più funky ed energico del repertorio della formazione torna a rivendicare il proprio spazio. Il resto dell’album racconta storie di vita, alcune autobiografiche, e per farlo si serve di tutta l’espressività della voce di John Butler e di suoni ancora dinamici, ma più armoniosi del solito. Chiari esempi sono “Bullet Girl”, “Young and Wild” e “Wings Are Wide”.
La voglia di divertirsi ed esprimersi senza riserve attraverso la musica è ancora magnificamente ostentata. Ma questa volta la passione e i sentimenti si sono combinati con le atmosfere roots senza schemi precisi, mossi da una spinta primordiale che ha permesso al gruppo di aggiungere nuovi livelli espressivi alla propria arte, a costo di ridurre lo spessore delle venature rock e funky maturate in questi anni.

Potrebbe essere un po’ pretenzioso cercare di spiegare in termini assoluti questo album, soprattutto perché per volere dell’artista dovrebbe essere vissuto durante un viaggio, sostenuto da un cambiamento, magari da una crescita. Non è concepito per essere ascoltato nel proprio appartamento, per cui se volete che la fiducia di John Butler sia stata ben riposta, comprate il disco e salite in auto, solo allora saprete cos’ha da dirvi “Flesh & Blood”.

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