Già dall’ascolto dei primi due brani di “Backspace Unwind”, ho avuto la sensazione che questo nuovo album dei Lamb entrasse in risonanza con una parte di me stesso che ha piantato le radici nella seconda metà degli anni ’90, quando il duo di Manchester ha cominciato a pubblicare e quando io ho cominciato a farmi la barba.
C’è infatti un gradevole senso di déjà vu (o meglio, di già ascoltato) nell’attitudine e nei synth di “In Binary” e nel primo singolo “We Fall in Love”, che ha qualcosa di stoico. Come se mentre tutto il mondo, compreso quello della musica, andava avanti, Andy Barlow e Lou Rhodes si fossero ritagliati un angolino tutto loro in cui rintanarsi ogni tanto per fingere che tutto il resto non sia successo. Questo non significa però che “Backspace Unwind” sia un album già vecchio. Il suono dei Lamb, che trova le sue fondamenta nel trip hop bristoliano e in un certo jazz elettronico, ha subito infatti un aggiornamento, magari di facciata, perché poi appunto il nucleo è sempre quello, ma che comunque permette a pezzi come la title track o come “What Makes Us Human” di risultare ascoltabili (e apprezzabili) anche per chi nella seconda metà degli anni ’90 ci è nato e magari “Gabriel” non l’ha mai nemmeno sentita.
Laddove l’elettronica costituisce la struttura portante del disco, è però in un paio di momenti in cui i Lamb si mettono del tutto a nudo, ad esempio in “As Satellites Go By”, che danno il meglio. E che, da “vecchietti”, riescono a dare molto di più di quanto molti colleghi più giovani riusciranno mai a dare in un’intera discografia. Nostalgici, tirate fuori le cuffiette e preparatevi all’ascolto!