Ciclicamente, dal magico mondo dell’indie spuntano le nuove promesse salvatrici del pop. Le ragazze fanno in fretta a linkarsi su Facebook i loro video, di solito con commenti come ‘guarda che brava questa e neanche deve vestirsi da zoccola’. Solo che per ogni Adele assunta in cielo ci sono cento Lykke Li rimaste nel limbo di Youtube. Gesù, per 3 minuti avevano pure cercato di farci passare Katy Perry come indie…Comunque, nuovo missile in partenza da indielandia e diretto verso il Successo è Lana Del Rey, newyorkese classe 1986 e figlia di miliardari. Dopo l’inusuale (per come è stato distribuito) debutto del 2010, questo Born To Die può essere considerato il suo primo vero album. Lei si autodefinisce una “Gangsta Nancy Sinatra”, ma a noi ricorda di più la classica amica dei tempi delle scuole, quella bellezza elegante, principesca e sofisticata che per qualche motivo era attratta da toffoni, sbandati, robbosi e pusher; all’inizio non capisci ma in fondo sai che da grande poi andrà a finire con un industriale brianzolo.
Ogni brano è una seduzione, una relazione complicata, una dichiarazione di amore eterno a un ragazzo diverso. Ah, matta matta ragazzina viziata e piena di grano: è palese che stai in una dimensione tutta tua, salti da Las Vegas a Miami, i vini più costosi, Bugatti Veyron, gli alberghi da nababbi. Già ti amiamo. Chiaramente l’impostazione della sua voce è old-style e retrò, ma non aspettatevi ballate piano-voce da spaccamaroni. Ok, il sound del disco è principalmente vintage, tra orchestrazioni, pianoforte e sussurri di chitarre surf, ma è reso contemporaneo da un ossatura di beat decisamente…hip hop. No, non è un controsenso: il beat minimale ma efficace della drum machine avvicina il tutto ai lavori più sofisticati di Kanye West e Jay–Z, cioè questa non è una Michael Bublè al femminile, tanto per capirci. Il rovescio della medaglia è che il sottofondo musicale è adeguato ma niente di più. Niente di musicalmente eccezionale, solo un tappeto per la protagonista: la voce di Lana, punto. E se riuscite a fare a meno di sintetizzatori tamarri e facile venire rapiti dalle ottime linee vocali del disco, fino a finire nelle spire di questa stronza a cui avete già voglia di perdonare tutto.
Marco Brambilla
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