A quattro anni di distanza da Wolfgang Amadeus Phoenix – da cui fu tratto il singolo Lisztomania – i francesi Phoenix pubblicano il loro quinto album in studio, Bankrupt!, anticipato a sua volta dal singolo Entertainment. Quattro titoli per comprendere non solo lo spirito ludico della band, ma anche l’importanza che la stessa attribuisce al marketing. Modi di vendersi che fin dal titolo, dobbiamo ammetterlo, procacciano interesse: la copertina minimale (non so perché mi viene da pensare ai frutti delle slot machines), unita al nome e al tono delle melodie e degli arrangiamenti mi fa pensare che la bancarotta sia più legata a una serata di divertimenti sfrenati tra limousine e casinò.
La co-produzione di Philippe Zdar dei Cassius – ricordate il singolo Toop Toop? – potrebbe chiarirci le idee: rispetto al synth-electro-pop cristallino dei lavori precedenti questa volta il suono del disco è molto meno pulito e Hi-Fi del solito e punta su sonorità dance espressamente anni ’80. Si intravede il tentativo di accennare a sperimentazioni sonore e compositive (vd. i sette minuti e le atmosfere della title-track), sebbene siano poi le melodie a farla da padrone in tutti i brani (Entertainment, The Real Thing, S.O.S. in Bel Air e Drakkar Noir col suo curioso ritornello: In the Jangle jungle / Jingle junkie, juggle juggle me). Bei pezzi danzerecci, non ci sono dubbi. Tuttavia il disco è privo di picchi indimenticabili – o inascoltabili –, e si stabilizza su una linea di apprezzabile caratura ma priva di grosse sorprese, nel probabile tentativo di compiacere un po’ tutti senza soddisfare a pieno nessuno.
Personalmente tendo a preferirlo nel quadro complessivo della loro discografia, ma penso che una scelta artistica più pronunciata e magari coraggiosa avrebbe dato al lavoro tutto un altro spessore. La questione è: rientra, quest’ultimo aspetto, nelle prospettive della band?
Cristian Ciccone
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