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Il debutto mainstream di Katy Perry…il suo primo tormentone “Ur So Gay” (2008)…Sembra soltanto ieri quando esordiva su Youtube nel finto video indie in versione tortellini&carboidrati. La casa discografica tastava il terreno, cercava di capire che direzione prendere…e ci ha impiegato poco a vedere che Katy sfondava decisamente meglio in versione stra-topa. Proprio seguendo la linea del suo ‘tiramento a lucido’ arriva il nuovo disco tutto zuccheroplasticosocolorato. E dato che la diva incontrastata del deboscio è Lady Gaga, Katy pensa bene di rivendersi come una brava ragazza per famiglie americane…magari giusto un po’ pazzerella.
Se nel primo album quindi si lamentava sempre dei ragazzi, qua nella prima canzone ha già trovato l’amore della sua vita. Eccola quindi in “Teenage Dream” e “The One That Got Away” a cantare di amori a livello di scuole superiori, dimenticandosi forse di aver passato i ‘teen’ già da un pezzo e che in giro ci sono certe Miley Cyrus e Taylor Swift forse più adatte per l’occasione.
L’intento della Perry è creare un disco pop rock molto ballabile ma che abbia anche dei testi da leggere, citando influenze come Cindy Lauper e gli Ace Of Base. “California Gurls” è diventata giustamente uno dei tormentoni dell’estate (e ha forse trasformato definitivamente Snoop Dogg da uno degli uomini più temuti d’America a perfetto vicino di casa) ma il resto?
La tecnica di base è la solita: mille scrittori e produttori per sparare nel mucchio ed evitare di rischiare. I problemi, pure, sono i soliti: troppi cuochi in cucina non riescono a creare una miscela compatta. Certo, lo stile del disco è sempre quello, ma non si fa in tempo a gioire per il basso scoppiettante e l’assolo di sassofono in “Last Friday Night” (la storia della solita festa andata male, comunque) che arriva un pastone forzatamente rock come “Circle The Drain”. Katy Perry canta troppo intorno alla storia di amore vs tossicodipendenza, senza avere una linea vocale memorabile e senza avere un sottofondo adeguato ma piuttosto un pastone che a volte sembra uno scontro tra i Rockets e i Cranberries. Deve essere per forza tutto di plastica? Katy cerca di tirare fuori la voce in ‘Firework’ e ‘Who Am I Living For’ ma si ritrova in due pezzi che scimmiottano rispettivamente i Black Eyed Peas (con una fastidiosa produzione ipersatura) e l’ultima Rihanna. Si sta già cadendo nel baratro, senza dover neanche nominare atroci filler come “E.T.” e “Pearl”.
E i testi? Per fortuna che doveva scrivere dei testi interessanti. ‘I smell like a minibar’. Davvero? Tutto qui? Meglio non farci caso, sennò arrivano le raffinate iperboli come ‘I wanna see your peacock, cock, cock’ ripetuto trenta volte, ‘You make me feel like I’m losing my virginity’ e le mille metafore naturalistiche come ‘let’s pollinate to create a family tree’ di “Hummingbird Heartbeat”.
Che casino hai combinato, Katy? Il trucchetto funziona poche volte: troppo spesso canti di cose poco interessanti, con pochi ritornelli che rimangono in testa, accompagnata da una musica che troppo spesso è solo un sottofondo sbiadito. Di sicuro non è questa la formula del disco pop perfetto.
Davvero il minimo sindacale per stare a galla un altro anno.
Marco Brambilla