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Premesso che il binomio Phil Collins – Motown ha già dato frutti interessanti, ecco che ci troviamo tra le mani un intero album di quei brani degli anni ’60 che hanno condizionato l’infanzia dell’autore di “Another Day In Paradise”.
In genere, di fronte ad un album di cover, il pensiero vola alla mancanza di ispirazione o di cose da dire da parte di un grande artista, ma in questo caso (un po’ come in quello di Robert Plant) le cose non stanno proprio così: quella di Collins è una vera e propria operazione filologica, in cui il nostro ha prestato molta attenzione a come venissero suonati, mixati e prodotti i brani scelti per la raccolta. Il risultato è un insieme di pezzi fedelissimi agli originali, suonati in buona parte dagli stessi musicisti di allora, ma allo stesso tempo riattualizzati da una delle voci più riconoscibili degli ultimi quarant’anni di rock. L’unico pezzo in cui Collins ha voluto mettere del suo è proprio quello che dà il titolo all’album e che lo conclude: reso celebre da Dusty Springfield ed inciso da decine di interpreti, arrangiato dall’ex Genesis “Goin’ Back” pare davvero un pezzo nuovo.
Piccola curiosità. Pare, per l’ennesima volta, che questa possa essere l’ultima fatica in studio dell’artista: se così fosse, “Goin’ Back”, primo brano inciso da professionista da Freddie Mercury prima di entrare nei Queen, sarebbe l’ultimo brano di un album di Phil Collins.
Luca Garrò