[Pop Rock] Simple Minds – Graffiti Soul (2009)

 

Moscow Underground – Rockets – Stars Will Lead The Way – Light Travel – Kiss And Fly – Graffiti Soul – Blood Type 0 – This Is It – Shadows & Light
[Bonus Disc (Searching For The Lost Boys)] Rocking In The Free World (Neil Young) – A Song From Under The Floorboards (Magazine) – Christine (Siouxsie And The Banshees) – (Get A) Grip (On Yourself) (The Stranglers) – Let The Day Begin (The Call) – Peace, Love And Understanding (Nick Lowe) – Teardrop (Massive Attack) – Whiskey In The Jar (Thin Lizzy) – Sloop John B (The Beach Boys)

http://www.simpleminds.com/
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Che i Simple Minds siano finiti sotto la soglia della rilevanza da ormai parecchio tempo è una triste verità. Sono passati secoli dalle sperimentazioni degli esordi, dal terremoto new romantic nella prima metà degli anni ’80 e dal successo globale svanito poi negli anni ’90. Pur avendo continuato a pubblicare album perlomeno decenti, a livello commerciale hanno paradossalmente raccolto meno di certi loro coetanei che sono tornati sull’onda della mania di reunion negli anni 2000. Comunque, sempre presenti e apprezzati live, continuano imperterriti pure con gli album in studio, arrivando a quota 16.

L’inossidabile coppia Kerr/Burchill ritorna, accompagnata dallo storico batterista Mel Gaynor e dal bassita Eddie Duffy, con un disco molto valido ma non eccezionale. Scelta una produzione rock sullo stile del precedente Black&White 050505 (2005), i pezzi sono semplici come struttura ma non esplodono mai come in Good News From The Next World (1995), gli arrangiamenti non sono molto elaborati e il disco punta più sull’atmosfera che sull’impatto.
Al primo ascolto lascia un po’ interdetti: si parte con le atmosfere notturne di ‘Moscow Underground’, poi il primo singolo ‘Rockets’ inizia a smuovere un po’ le acque facendo da ponte verso ‘Stars Will Lead The Way’: pop rock per adulti che fa il suo dovere ma che, in fondo, si rivela essere apice ritmico del disco (eguagliato forse solo da ‘This Is It’). La sensazione di non andare da nessuna parte, questo si prova.
La voce di Kerr è sempre suadente ma mai graffiante: niente a che vedere con ‘l’anti-Bono’ che era vent’anni fa; come al solito un grande interprete ma non spinge mai le corde vocali. Ci si aspetta una crescita nei pezzi che non sempre arriva. Scosse quindi ce ne sono poche, ma con gli ascolti cresce l’effetto atmosfera, grazie soprattutto alle chitarre stratificate di Burchill. Il tutto però non porta il godimento oltre un certo livello: c’è troppa poca carne al fuoco, non ci sono sorprese, poche emozioni e il tutto rimane a galla soprattutto grazie all’esperienza trentennale della band.

Dell’album esiste anche una versione deluxe con il disco aggiuntivo Searching For The Lost Boys. Anche questo disco di cover, se si guarda il risultato finale, sottolinea la mancanza di fondo di grinta e direzione nello spirito musicale attuale del gruppo. Si salta da una ‘Whiskey in the Jar’ ad una ‘arpeggiatissima’ ‘Teardrop’, c’è ‘(Get A) Grip (On Yourself) che col suo giro di synth ricorda i tempi d’oro della band ma anche una ‘Rockin’ In The Free World’ esageratamente ‘sussurrata’…

In definitiva, una mezza occasione mancata: l’album è solido ma non ingrana mai veramente. Buono per i fans che preferiscono la band nella direzione pop rock di classe, avrebbe potuto invece essere un grande ritorno ora che certe sonorità sono di nuovo apprezzate.

Marco Brambilla

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