No line on the horizon – Magnificent – Moment of surrender – Unknown caller – I’ll go crazy if I don’t go crazy tonight – Get on your boots – Stand up comedy – Fez-Being born – White as snow – Breathe – Cedars of Lebanon
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Salendo sull’ascensore della Universal mi viene quasi un nodo alla gola. Gli U2 sono tornati e sono proprio curioso di sentire cosa hanno tirato fuori questa volta dal cilindro. Arrivando nella saletta penso che si tratta di un ascolto non da poco, soprattutto per un disco che non ha le tinte (e già mediaticamente non le ha volute avere) dei precedenti due lavori, con cui la band irlandese ha voluto sfogare la sua vena american oriented e rassicurare il pubblico nel passaggio al nuovo millennio.
Bene, sospetti confermati al termine dell’ascolto. Il 2000 è passato da quasi un decennio e gli U2, in quello che verrà ricordato come il lustro dei Coldplay, vogliono dissociarsi dal pop facile e cambiare ancora direzione. Questo quartetto senza navigatore satellitare nel cilindro di cui sopra non ha altri che Brian Eno e il suo fido Danny Lanois.
Il primo impatto è altamente positivo; se vogliamo tirare le somme il più velocemente possibile “NLOTH” è un disco con un trittico di apertura da brivido, che diventa poi altalenante, tra cadute (mai troppo precipitose) e impennate artistiche non da poco.
La title track che apre il lavoro è un brano catchy, che smuove qualcosa dentro e spinge all’ascolto sequenziale dei successivi. “Magnificent” riporta la band alle sonorità di “Where the Streets have no name”, con un Bono in forma smagliante, che trasforma in pregio il fatto di non avere più la voce di un tempo. Il suo gracchiato/sforzato è ormai un marchio di fabbrica, simile a quello di un blues man un po’ irriverente e sbruffone, che canta più col cuore che con le corde vocali. Il meglio da parte di Mr. Vox arriva però con “Moment of Surrender”, una poesia/preghiera, che narra la storia di un uomo disperato, abbandonato dal mondo e da se stesso. Tra gospel, soul e dark melodies. Sentiremo molto parlare di questa canzone per l’anima che possiede: grazie alla produzione piena, al bottom davvero perfetto di basso/cassa e alla luminosità degli strumenti piegati a fini diversi dalla loro genesi è il pezzo migliore del disco. “Unknown Caller” è piacevole e assolutamente meditativo. Purtroppo il primo tonfo arriva con “I’ll go crazy if I don’t go crazy tonight”: per il testo frivolo e per la musica è il brano che forse poteva essere tagliato da questi 54 minuti di album. Sicuramente uno scarto da “All that you can leave behind” e prodotto da Steve Lillywhite.
Il cambio di produttori in alcuni brani è proprio la nota dolente di “No Line on The Horizon”: prima il licenziamento di sua maestà “vi-faccio-pestare-troppo” Rick Rubin, poi l’alternanza di Eno/Lanois con Lillywhite, fa sì che non si possa entrare appieno nel mood delle undici tracce. “Get on Your Boots”, gemello cattivo di Vertigo, non ha bisogno di presentazioni e in suo favore va detto che senza video risulta migliore, ma non fa guadagnare in economia il disco intero (e non a caso non entra nella top 10 UK). La successiva “Stand Up comedy” (omaggio a Zeppelin e Beatles) è un up tempo con un riff come ce ne sono miliardi nella storia del rock, ma che suonato dagli U2 assume una dimensione parallela e suggestiva. Su “Fez-Being Born” si sentono sia la mano di Eno sia le influenze del Marocco, dove parte del disco è stato registrato (e un piccolo omaggio al coro di “Get On Your Boots”, per dare continuità all’opera). La intrigante “White as Snow” è un arrangiamento di una ballata popolare. Da godere con cuffie nelle orecchie e sdraiati nel proprio letto o a Natale se siete stanchi (prego, annuite pure con veemenza) di quell’odioso brano di Mariah Carey! “Breathe” (figlia più o meno legittima di Helter Skelter) rialza le sorti di un disco che andava traballando: un altro pezzo rock, riff deciso e ostinato, accompagnato da un piano contrastante. Qui, oltre ai Beatles, si sentono un po’ gli Stones nella strofa fino al ritornello che è orecchiabile e in classico stile ultimi U2. Bono parla a raffica e ci piace così, quando si misura con se stesso. Da segnalare anche l’assolo più “veloce” di tutta la carriera di The Edge (non che ce ne fosse bisogno, anzi).
Il disco si chiude con “Cedars of Lebanon”, riflessivo e d’uscita. Un congedo da parte degli U2, che finalmente hanno dato alla luce il tanto atteso dodicesimo figlio. Forse non il capolavoro assoluto di una carriera (come molti album che subiscono una gestazione ritardata), ma nei giorni post Marco Carta vincitore di Sanremo, “No Line On The Horizon” è la sorpresa più bella e inaspettata che la realtà potesse regalarci (la fantasia farebbe resuscitare Freddie, ne avremmo davvero bisogno, ndr).
Riccardo Canato