I Vaccines sono l’ennesima ‘new sensation’ che la stampa inglese prontamente pompa a dismisura. Ma a questo ci siamo tutti abituati, il modus operandi d’oltremanica è lo stesso dai tempi di Beatles e Rolling Stones, quindi non fa più né caldo né freddo. Tutto sta nel valutare se l’hype di cui ammantano di volta in volta la band di turno sia giustificato o meno. E sui Vaccines i dubbi c’erano: un gruppo formatosi neppure un anno fa, che già viene definito come la nuova meraviglia indie rock, e che già faceva registrare sold out ai concerti ancor prima di pubblicare un disco, con un solo singolo all’attivo, il tormentone (sulle radio inglesi) “Wreckin’ Bar (ra ra ra)”…in breve, tutto faceva presagire il tipico ‘prodotto’ costruito a tavolino con nulla da dire.
Non è proprio così, invece. È vero che si tratta di un quartetto neonato, ma stiamo parlando di musicisti con una discreta esperienza alle spalle, in particolare il leader Justin Young (voce e chitarra), già noto nell’ambito dell’indie folk con il nome di Jay Jay Pistolet. E le idee non sono tutte da buttare. Anzi.
In particolare, è la personalità che non manca loro. Riescono a differenziarsi dalla miriade di act albionici spuntati negli ultimi anni grazie a un approccio diverso e, in un certo senso, originale. Perché rispetto a band quali Franz Ferdinand, White Lies, Editors e simili, loro dalla wave anni Ottanta non prendono praticamente nulla, a parte qualche striatura qua e là, che tuttavia svanisce subito, non appena il pezzo ingrana. Questo accade, ad esempio, nel già citato primo singolo, neppure due minuti aperti da cupi clangori in odor di Joy Division e Bauhaus, che però nel giro di un secondo lasciano il posto a un divertente power pop vicinissimo ai Ramones, nome che farà la sua comparsa anche in altri momenti del disco.
Allegria e spensieratezza velate di romanticismo agrodolce: queste le caratteristiche su cui è costruito “What Did You Expect From The Vaccines?” (titolo ironico decisamente azzeccato), che si rivelano nella veloce carrellata di 11 brani (più una ghost – track) dai quali è composto, tutti potenziali singoli. Più che sul post – punk Young e compagni si concentrano sul brit – pop di Oasis e Blur, per poi precipitarsi fino agli originali dei Sessanta e persino Cinquanta, come emerge dalle languide ballad che punteggiano il lavoro (“A Lack Of Understanding” la più classica di tutte), alcune delle quali vengono però intessute di riverberi shoegaze (cfr. “Blow It Up”). Insomma, sono decisamente meno cupi di molti loro simili, puntano sulla melodia diretta e sul ritornello adatto al ballo di fine anno, e pare che abbiano persino qualche simpatia per il Morrissey più naif (cfr. “All In White”), cosa che li potrebbe accomunare, in parte, ai The Drums. In questa particolare maniera di approcciarsi all’universo indie contemporaneo potrebbe risiedere la loro piccola ‘rivoluzione’.
Stefano Masnaghetti