U2 – Songs Of Innocence

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Ci sono tanti dettagli del nuovo album degli U2 da dissotterrare, nascosti sotto il chiacchiericcio e il qualunquismo da social network. Innanzitutto è esilarante che la gente sia davvero convinta che “Songs of Innocence” sia gratuito. Il regalo proviene dalla Apple, mentre gli U2 hanno anzi messo in tasca un accordo da 100 milioni di dollari che è una certezza in un mercato oltremodo incerto. Amore e odio, entrambi incondizionati, polarizzeranno ancora una volta la seconda (o terza? forse quarta?) vita della formazione irlandese. Ma giusto o sbagliato che sia, boomerang o non boomerang, hanno ancora una volta anticipato tutti e seguito il progresso. E il progresso, a differenza delle band, è infallibile.

La super produzione del nuovo millennio è sempre ingombrante, meno che nel 2009, ma più che nel 2000. Di sicuro Danger Mouse non è stato molto discreto, nel bene e nel male. Qualche coro di troppo ammorbidisce i brani già sfacciatamente pop della prima metà dell’LP e la voce di Bono purtroppo viaggia su binari sicuri, forse con la consapevolezza che anni di fumo e tour rendono ormai impossibile replicare dal vivo eventuali esperimenti in studio. “The Miracle (Of Joey Ramone)” è il brano rock dal riff canonico che non manca nei dischi dei Nostri da ormai diversi anni: “Elevation”, “Vertigo”, “Get On Your Boots” e ora questo omaggio ai Ramones. Ma dei quattro singoli estratti dagli ultimi quattro LP è quello più debole, e il confronto non si può evitare. “Every Breaking Wave” è un bel brano, ma è già sentito. Idem “Iris (Hold Me Close)”, relegata nell’anonimato da cui invece emerge “Song for Someone”, in una delle dimensioni a loro più congeniali. Piccolo passo falso infine su “California (There Is No End To Love)”, che appare costruita e istericamente pop.
Tante incertezze nella prima metà del disco, un compito a casa celebrativo e autocelebrativo con troppe ruffianerie e nemmeno l’ombra di quella tanto decantata “innocenza”. Eppure a partire da “Raised By Wolves”, che si fa spazio a spallate tra i ricordi di “October” e “War”, la seconda metà è più comunicativa del previsto.
In “Sleep Like a Baby Tonight”, in cui The Edge si dimentica di essere diventato per tutti “l’uomo col delay”, una chitarra sanguigna e distorta accompagna uno degli episodi migliori del lotto, forse quello più affine al titolo dell’album. Un po’ come la magnifica “Moment Of Surrender” nella desolata landa di “No Line On The Horizon”, questa traccia si pone come unico vero balzo in territori inesplorati. Lo stesso falsetto di Bono, assoluto protagonista del brano, assume una nuova veste, disorientante in un primo ascolto e sorprendente nei successivi.
Le citazioni continuano in “This Is Where You Can Reach Me Now” dedicata a Joe Strummer e i suoi Clash, certamente tra le grandi fonti di ispirazione di Bono e soci, ma è solo con “The Troubles” che il full-length, schiavo della mossa di marketing che l’ha messo a mondo, sbatte in faccia a tutti quel poco d’arte autentica che racchiude, concludendo al vertice il set di 11 canzoni.

“Songs of Innocence” è un buon disco, nasconde molte cose interessanti e merita una chance. Ma è un giudizio condizionale quello che raccoglie, perché dipenderà tutto da “Songs of Experience”, il secondo lavoro che la band di Dublino ha già annunciato come suo ideale seguito. Così come le omonime poesie di William Blake, i due lavori dovranno fornire reciproche chiavi di lettura, giustificare e colmare vuoti. Solo allora si potrà valutare la rilevanza artistica (perché quella mediatica direi che è fuori discussione) che gli U2 hanno ancora oggi, a quasi quattro decenni dalla loro fondazione.

Che poi, a voler essere puntigliosi, siamo davvero sicuri che le quattro tracce che troveremo su supporto fisico il prossimo 13 ottobre saranno solo bonus track?

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