“Violence” è il sesto album degli Editors e proseguimento di “In Dreams” del 2015. Cos’è e cosa non è il nuovo album degli Editors? Non è la detonazione, quella che i fan si aspettano dal momento esatto in cui si sono invaghiti del timbro dark e profondo di Tom Smith, così capace di buttarti con la faccia nella terra ma da lì farti vedere tutte le stelle del firmamento. Non è l’album della consacrazione ad un determinato livello di imperitura gloria all’interno della storia musicale, quello a cui rimangono ben lontani una delle stelle a cui gli Editors sono sempre stati più o meno a sproposito accostati, quella degli U2. Un ridimensionamento che più li avvicina alla parabola dei Coldplay ma senza essere mai nemmeno lontanamente arrivati a vedere sotto i loro palchi quelle folle oceaniche, quella condivisione umana di massa da collocarli a etichetta di una generazione intera.
Gli Editors a quanto pare hanno scelto di intraprendere un percorso personale che li ha portati a mancare la grandezza totale ma a conquistarne una relativa, tutta loro. Benchè in molti passi di Violence sia netta la sensazione che anche loro stessi non siano ancora del tutto rassegnati a vedere la Luna dall’orbita senza mai calpestarne la supercficie sopratutto in canzoni come “Darkness At The Door”, fuori contesto con la sua melodia leggera e scanzonata, canzoni come “Cold” e “Hallelujah (So Low)” sono dei decisi orpelli alla loro attitudine dark che solo dietro una patina oscura lascia intravedere una colloquialità pop.
Le svolte elettroniche della title track sono ardite e apprezzabili in senso assoluto anche se i fan della band cominciano a sentire scricchiolare la convinzione nei propri mezzi e nel proprio percorso della band. E già a metà album inizia tutta una zona d’ombra dove le idee sembrano mancare per affidarsi ad una competenza di maniera acquisita negli anni ma che poco lascia all’ascoltatore occasionale come a chi li segue da sempre. Perchè se “Nothingness” torna ad offrire un po’ di rock e di sonorità strumentali ad amplificarne il carico emozionale, “Magazine” spinge calibrando alla perfezione i suoi elementi al fine di impacchettare un prodotto facilmente vendibile, “No Sound But The Wind” ripropone materiale già sentito in una ballata piano e voce che non arriva così in profondità come si propone, una superficialità che colpisce anche “Counting Spooks” e sopratutto lo scolorita chiusura di “Belong“.
Apprezzare Violence è facile e probabilmente chi non ha mai ascoltato gli Editors guarderebbe con tanto d’occhi chi invece conoscendone le potenzialità storce il naso durante parecchi momenti di questo disco e anche ad ascolto finito e conti fatti. Se gli Editors producono nuova musica senza ringhiare e senza solcare lo strato musicale di quel determinato momento è sempre da considerarsi un’occasione mancata e qualche emozione qua e là senza una incoraggiante prospettiva per il futuro della band non può che lasciare l’amaro in bocca.