Eric Clapton – I Still Do

Quando passi tutta la vita a suonare, probabilmente diventa quasi un automatismo. È così che immagino la gestazione di “I Still Do”: come un riflesso automatico di Eric Clapton, che nonostante i problemi di salute che dal 2013 mettono a rischio le sue capacità artistiche (la neuropatia periferica gli causa forti ed improvvise scosse di dolore agli arti) non rinuncia a sfornare un nuovo album.

“I Still Do” suona già come una dichiarazione, fin dal titolo. Sono ancora qua, faccio ancora quello che so fare meglio, anche se mi costa una bella fatica. I dodici brani dell’album spaziano un po’ per tutta la tradizione blues claptoniana: c’è il blues più tradizionale, quello ruvido e tagliente di “Somebody’s Knockin'”, “Alabama Blues Woman” e “Cypress Grove”; ci sono brani dal sapore molto tradizionale, che affondano le proprie radici nell’America dei campi di cotone, come “Stones In My Passway” e “I’ll Be Alright”, il primo un blues del delta del maestro Robert Johnson ed il secondo un traditional folk di stampo seegeriano: non a caso riprende molti elementi di “We Shall Overcome”, canto che risale fino alla Guerra Civile ed ha trovato nuova vita con i movimenti per i diritti civili degli anni ’60, e con l’omonimo album di Bruce SpringsteenNon mancano brani più delicati, dai ritmi che gettano uno sguardo ad altre tradizioni musicali: “I Will Be There” si inserisce in quel filone inaugurato da “I Shot The Sheriff”, anche se il reggae qui è molto meno accentuato, mentre “Catch The Blues” e “I’ll Be Seeing You” si rifanno a sonorità etniche e jazz, miscelandole in puro stile Clapton.

“I Still Do” indaga un po’ tutte le varie declinazioni che prende il blues quando Eric Clapton impugna la chitarra, e si inserisce molto bene nella vastissima discografia incisa dal chitarrista in questi ultimi quarant’anni.

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