Fresco vincitore di Sanremo, in coppia con Fabrizio Moro, Ermal Meta con “Non abbiamo armi” è al suo terzo album solista. Complice la partecipazione alle ultime tre edizioni del Festival di Sanremo, la pubblicazione dei suoi album è ormai un appuntamento fisso al mese di febbraio; questo dimostra, inoltre, una vena artistica che non smette un attimo di pulsare.
“Non abbiamo armi” si apre con l’ormai ascoltatissima “Non mi avete fatto niente”, unico duetto del disco; a seguire, “Dall’alba al tramonto”, un brano in pieno stile DNCE, e “9 primavere”, la fine straziante di una lunga storia d’amore. Ci sono cose che non possiamo controllare, il tempo, il cambiamento, ma con “Non abbiamo armi”, la title track, ci ricorda dell’effetto salvifico di un abbraccio. Se c’è una cosa che possiamo rimproverare al cantautore di origini albanesi è il suo continuo dispensare “ti voglio bene”, abitudine che trova la sua massima espressione in “Io mi innamoro ancora”: una schiettissima dichiarazione d’amore nei confronti della vita, dal Bari, la sua squadra del cuore, alla macchina.
“Le luci di Roma” è il brano più intenso di tutto l’album, con la Città Eterna a far da sfondo a un altro amore andato male, ma del quale non ci si vuole assolutamente dimenticare. Ancora Roma, questa volta nella figura di Antonello Venditti; “Caro Antonello” è uno sfogo, che su suggerimento dello stesso Venditti è diventato una canzone, dalle sonorità vagamente Coldplayane. Tra i brani più radiofonici dell’album, “Il vento della vita” e “Amore alcolico”. In pochi cantano l’amore come Ermal, “Quello che ci resta” ne è la prova. L’album si chiude con “Molto bene, molto male” e “Mi salvi chi può”, diversi, per suoni, dal resto del lavoro.
Di “Non abbiamo armi” sono i testi a colpire, prima delle interpretazioni; la carriera autoriale che Ermal Meta svolge parallelamente a quella di cantautore è il principale punto di forza dei suoi lavori, scritti bene, al punto che funzionerebbero anche senza musica.