Eve To Adam – Odyssey

Da New York gli Eve To Adam giungono alle nostre orecchie con l’album “Odyssey”, con il quale provano a ritagliarsi uno spazio nella foltissima giungla del post metal che in America annovera decine e decine di gruppi, tutti allineati lungo il medesimo percorso marciato di riff compressi e contaminati di elettronica e linee vocali variegate tra melodie, growl e cadenze rap.

Di fianco a band come Trapt ed Evans Blue, gli Eve To Adam sono esattamente questo, una produzione che appiattisce elementi diversissimi tra loro come metal ed elementi elettronici, sacrificando spesso la linea ritmica che risulta annegata nel pastone del suono industrializzato che ne viene fuori. Il vero punto di forza di questo “Odyssey” è la parte vocale, veramente piacevole e ben curata, sempre divertente grazie al timbro e alle capacità vocali di Taki Sassaris, che veleggia tra uno stile molto simile ad Adam Gotier dei Three Days Grace prima e ora Saint Asonia.
Buonissima l’apertura affidata a “Altitude” e soprattutto alla successiva “Tongue Tied”, arricchita da un assolo costante di chitarra che mantiene alto il ritmo forsennato del pezzo.
“Undertow” è una power ballad che non annoia grazie alla melodia azzeccata, mentre la chitarra in “The Price” si sporca di effetti industrial.

Il produttore Michael ‘Elvis’ Baskette è lo stesso di band come Alter Bridge, Tremonti Project e Slash (Con Myles Kennedy And The Cospirators) e qui ripropone tutti i suoi pregi e i suoi difetti. Il suono è preciso e il prodotto finale è compatto e sempre a fuoco, così che l’ascolto risulta omogeneo e liscio da inizio alla fine, ma distinguere un singolo episodio dal tutto è difficile, così come apprezzare un determinato strumento rispetto ad un altro. Il disco degli Eve To Adam è un blocco sonoro unico, che si vende bene come prodotto ma che appiattisce il carattere singolo degli artisti in gioco, e questa è un’attitudine alla standardizzazione verso la quale le grosse etichette ricorrono sempre più spesso.

Tornando a “Odyssey”, la ballata “Emergency” non delude e si avvicina ancora di più al sound dei Three Days Grace, molto emozionale con tocchi elettronici mirati a rendere l’atmosfera emo core. “Landfill” e “Lucky” sono due pezzi industrial metal efficaci che nascondo in sé le atmosfere del seminale suono degli Alice In Chains, soprattutto nelle linee vocali, i due momenti migliori dell’album. “Chasing Ghost” aumenta la presenza dei synth e dell’elettronica, raccogliendo la strada nella quale si sono avventurati gli ultimi Linkin Park. Anche qui le linee vocali abbelliscono una proposta che potrebbe scadere nella noia, ma che si salva in extremis.

Decidono di chiudere con un hard rock più classico (“Day Drinking”) un album che si fa ascoltare, tra buonissime linee melodiche vocali e un minestrone industrial rock che dimostra di volersi adeguare piuttosto che distinguersi.