Due anni di silenzio da “Via delle Girandole 10” e un rapporto con la fama che sembrava andare in direzione ostinata e contraria ma che, col passare del tempo, ha imparato ad incanalare ed affrontare. Oggi esce “Pace”, il nuovo album di un Fabrizio Moro diverso dal passato.
Ha le spalle larghe di chi la gavetta l’ha vissuta sulla sua pelle, di chi non ha voluto esporsi ai riflettori per non snaturarsi, per non perdere la sua essenza. Il cambiamento c’è, si tocca con mano e si sente, ma la sua musica resta un valore aggiunto. Ed il titolo del disco è emblematico: cercava serenità e l’ha trovata, nonostante sembrasse una missione impossibile. Continua ad urlare, sì. Ma lo fa sottovoce, presentando al suo pubblico tutte le pagine del suo io.
È meno incazzato, questo è vero e lo ha anche ammesso, ma lo ritroviamo comunque a dire la sua e a guardarci negli occhi. Lo fa con “L’essenza”, sputandoci in faccia la nostra realtà e riportandoci un po’ a quando ce l’aveva con mondo, ingiusto e spietato soprattutto con chi non ha la forza di tenergli testa. “Andiamo” invece ha la base dalla sua parte. Dalle prime note ricorda “Fammi sentire la voce” ed anche lei fa ballare e scatenarsi, ma è meno aggressiva.
In “Semplice” il ritmo va a mille all’ora, più del solito oserei dire. Gli occhi sono ancora rivolti alle paure ed alle incertezze trovando però risposta nel “tu sei quello che io vorrei essere”: un’iniezione di pura fiducia, a ricordare che tutto è possibile. Completamente opposto, almeno a livello di melodia, è “Intanto”, molto più romantica e soprattutto sussurrata.
Con una dose in più di elettronica arriva anche “Tutto quello che volevi”. Parole su parole raccolte in una cascata di ricordi e pensieri, con lo sguardo rivolto al ciò che è stato. Altro contrasto, questa volta con “Pace”, la titletrack tutta riflessiva e ridotta ai minimi termini riguardo l’accompagnamento musicale, come se volesse permettere al testo di esprimere tutta la sua bellezza. Brano significativo perché segna il suo nuovo io, ripercorrendo l’introspezione esistenziale che ha dato vita al nuovo album.
Non poteva mancare, per fortuna, il Fabrizio Moro sdolcinato e nostalgico. Prima tappa è “Giocattoli”, dove l’innocenza ed il disincanto dei bambini vengono presi come modello e, perché no, come l’essenza che garantisce la spensieratezza. Con “La felicità” il ritmo cadenzato e rallentato veste su misura il messaggio della canzone, totalmente rivolto ai sogni e a quel sentimento che dà il titolo al brano e che tutti noi cerchiamo di raggiungere.
“Portami via” e “Sono anni che ti aspetto” non credo abbiano bisogno di descrizioni. Vanno ascoltate ad occhi chiusi, lontano da tutto e tutti. Il primo singolo lo abbiamo conosciuto live a Sanremo, ci ha catturato e fa parte già della nostra vita. E’ una preghiera rivolta ad una figlia: niente di più semplice e niente in più da chiedere. Per quanto riguarda il secondo, qualche lacrima potrebbe anche sorprenderci. Sta tutto nel titolo e nella voce graffiante di Fabrizio: la colonna sonora perfetta di chi non vuole arrendersi.
Sorprende e stupisce “E’ più forte l’amore”, in featuring con Bianca Guaccero: non per il testo o la musica in sé, sia chiaro, ma per la scelta della voce femminile e soprattutto per il duetto, alternativa praticamente mai presa in considerazione dal cantautore romano.
“Pace” arriva in maniera immediata e senza filtri. Lati positivi: tantissimi.