Un tale una volta diceva “Se scruti a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te”. Che poi l’abisso sia quello dell’animo umano non è ben chiaro, ma forse, nel caso di Ivan Moody, il frontman dei Five Finger Death Punch, potrebbe essere proprio così. Il cantante, durante gli ultimi dodici mesi, ha combattuto una disperata battaglia contro varie dipendenze, rischiando di trascinare nel suddetto abisso anche i suoi compagni di band. Anche se, dobbiamo dirlo a onor di cronaca, gli altri FFDP non hanno mai avuto nessuna intenzione di mollare, non ora soprattutto, e subito dopo l’esaurimento nervoso di Moody era già pronto a calarsi nei panni del trascinatore di folle Tommy Vext dei Bad Wolves.
Ma per fortuna, tutto è bene quel che finisce bene. Ivan è tornato all’ovile, la carriera dei Bad Wolves ha ricevuto un boost mica male, e la formazione di Las Vegas, dopo tanti live di successo e un greatest hits, ha finalmente dato alle stampe “And Justice For None”, un disco tanto atteso quanto tormentato. Perché non solo i Nostri hanno dovuto fare i conti con un problema interno mica da ridere, ma hanno affrontato una serie di beghe legali con la precedente etichetta discografica che per anni ha bloccato l’uscita dell’opera numero sette.
Forse però, alla fine, è stato un bene. “And Justice For None” infatti dipinge fedelmente la situazione attuale dei Five Finger Death Punch, e lo fa discostandosi leggermente da quanto prodotto fino ad oggi dal quintetto. È vero, ci sono sempre le cover, una tradizione per Bathory e compagnia (“Blue On Black” e “Gone Away”), i pezzi tamarri a cui la band ci ha abituato fin dagli esordi e loro trademark (“Rock Bottom” e “Fire In The Hole”), ma a vincere a mani basse questa volta sono le ballad, in netta superiorità numerica rispetto al resto (ne cito solo un paio, “I Refuse” e “When The Seasons Change”). Brani che riflettono una voglia di cambiare, e di andare oltre dopo quanto di spiacevole successo in tempi recenti.
“And Justice For None” è un lavoro estremamente Moody-centrico, in cui il vocalist, coadiuvato dai suoi colleghi, riesce a risorgere dalle ceneri come una moderna fenice. Un’opera che nella versione deluxe si dispiega per circa un’ora di running time, dando a Cesare quel che di Cesare. Buona musica, onesta e cazzuta, come i Nostri sono sempre stati tra i migliori a fare nel loro genere. Ma con in più la consapevolezza di essere riusciti per un soffio a distogliere lo sguardo dall’oscurità dell’abisso.