Frontierer – Unloved
Che la musica abbia il potere di alleviare anche il più grande dolore (psicologico e non solo) è un dato di fatto, un assunto che vale un po’ per tutti. Tranne che per i Frontierer. Vi sfido ad ascoltare “Unloved” senza provare anche solo il minimo malessere. Già con “Orange Mathematics” (2015) i Nostri si erano dati da fare per causare attacchi di panico un po’ ovunque. Ovvio, ora l’effetto sorpresa è svanito, ma tra il mathcore schizzato alla Dillinger Escape Plan, noise, sludge ed elettronica, si vola ancora altissimo. Ah, e in “Heartless 101” ci sono anche Michael Daffener e Greg Kubacki dei Car Bomb.
Our Mirage – Lifeline
Suicidio e depressione sono al centro di “Lifeline” degli Our Mirage. Argomenti delicati da trattare, soprattutto in un disco melodic metalcore. Come il debutto del quintetto tedesco. Ma in qualche modo, questi ragazzi riescono a farlo in maniera convincente, veicolando inoltre un messaggio forte e chiaro di speranza a suon di breakdown e ritornelli catchy (parleremo di chi non riuscirà nell’intento tra qualche paragrafo). Nulla di rivoluzionario sul piano della musica, ma un ascolto che fa bene al cuore.
Mantar – The Modern Art Of Setting Ablaze
Dopo essersi fatti un nome con il precedente “Ode to the Flame”, i Mantar decidono di mettersi ulteriormente alla prova. E di vincerla, alla fine. “The Modern Art Of Setting Ablaze” rappresenta un punto d’arrivo per il duo teutonico, un lavoro che condensa le caratteristiche migliori del proprio passato, senza incappare nel trabocchetto del già (troppo) sentito. Quindi abbiamo sludge, condito con un pizzico di black metal e qualche influenza alla Motörhead, oltre ad aperture sorprendentemente anthemiche (“The Formation of Night”).
Abandoned By Bears – Headstorm
Con un nome del genere non si può non volere bene agli Abandoned By Bears. Al secondo disco, i cinque ragazzi svedesi ci regalano qualche episodio più pesante degno di nota (“Stepping Stones”, “Drowned Out”, “Outrun Reality” e soprattutto la conclusiva “Greyscale”), ma per il resto veleggiano sulla rotta più sicura dell’effetto nostalgia in un mix tra alternative, metalcore e pop punk. Un album che non vi sconvolgerà di certo l’esistenza, ma che vi farà sospirare malinconici pensando all’estate appena finita.
Nothing – Dance on the Blacktop
Solo pensare quante band siano state influenzate dai Deftones fa girare la testa, sul serio. Anche i Nothing non ne sono immuni, nonostante la loro proposta si basi su shoegaze, post rock e dream pop. A conti fatti quindi, non mi viene in mente nulla di più malinconico di “Dance on the Blacktop”, per non parlare dei testi (vedi il rapporto tra padre e figlio in “The Carpenter’s Son”). Sono convinta che l’ascolto di questo lavoro farà scendere qualche lacrimuccia a voi, ammesso che siate in confidenza con il genere. Altrimenti, l’effetto non può che essere soporifero.
Nonpoint – X
Decimo full-length in vent’anni di carriera per i veterani Nonpoint. E che cosa avranno mai da dire dopo tutto questo tempo? Niente di nuovo. Ma seppure con tutti i limiti del caso (soprattutto temporali, visto che siamo nel 2018), Soriano e soci danno vita a un (altro) disco nu/alternative metal a sfondo politico, senza nessun colpo di testa, come del resto non hanno mai avuto. Si parlava di malinconia da revival nella precedente Heavy Countdown, un loop da cui è evidentemente molto difficile uscire.
Sinsaenum – Repulsion For Humanity
I Sinsaenum sono un supergruppo blackened death metal che vede tra le sue fila Frédéric Leclercq (Dragonforce), Attila Csihar (Mayhem e Sunn O)))), e dulcis in fundo, Joey Jordison (ex Slipknot e Scar the Martyr). Da una line-up composta da nomi del genere ci si attende quel guizzo di creatività e originalità che purtroppo, a “Repulsion For Humanity” manca in larga misura. Non è un brutto disco, sia chiaro, ma nel suo essere nella media fa un po’ troppo compitino in classe, e di sicuro non si fa riascoltare senza sbadigli.
The Amity Affliction – Misery
“Misery”, il sesto album degli Amity Affliction, è senza dubbio un modo coraggioso per uscire del tutto dalla propria comfort zone, anche se purtroppo non il più azzeccato. Le lyrics, incentrate su problemi attuali come depressione e malattie mentali, sarebbero un notevole plus, se non andassero a cozzare con un contesto del tutto fuori luogo e spesso al limite del “lol” (vedi la title track). È l’elettronica a settare il mood generale, così come le vocine al vocoder, e sicuro lo zampino del producer Matt Squire ha fatto il suo (Ariana Grande, Demi Lovato e Panic! At The Disco). L’unica cosa certa è che “Misery” non è un lavoro memorabile.