Dove sono finiti i Gang of Four? Perché trovarne traccia nel nuovo album “What Happens Next” è difficile. Chi sono questi Gang of Four? Parlare di reunion non ha senso: non solo perché la band è rediviva ormai dal 2010 (l’ormai penultimo, “Content”, è del 2011). Del quartetto originale, poi, è rimasto solo Andy Gill, che conserva ancora intatta nei ruvidi solchi del viso l’intransigenza degli anni che furono – quelli di “Entertainment”, uno dei dischi-cardine del post-punk british ’78-’84.
Cosa accade in seguito. L’asserzione del titolo diventa presto un interrogativo avvilente. Davvero: che cos’è accaduto in seguito? Che i Gang of Four sono diventati un’altra band. Non son più i paladini del post-punk. Sono altro. Altro da sé, così come noi, all’ascolto, siamo altri da quelli che ascoltavano, negli anni, la band di Leeds. Siamo smarriti.
“What Happens Next” ci dice che i quattro sono dediti a un pop-rock infiltrato dalla wave (“The Dying Rays”), con amare insufficienze nel songwriting e un’identità indefinita e messa fuori fuoco nel disco da una serie di partecipazioni che cercano di restituire equilibrio ad un prodotto che trasmette solo un senso di smarrimento. Il giudizio severo del critico si asserraglia in un limbo di stupore messo in piedi, come mezzo di autodifesa, dall’amore del fan che teme il tradimento.
Una dopo l’altra, come spettri di un passato dorato che non è più, le tracce sfilano davanti a noi in maniera anonima e goffa: undici figure deformi, vestite in pompa magna, che silenziosamente si aggirano tra le mitiche rovine del nome in copertina, confuse e sfigurate (con la sola eccezione di “Isle of Dogs”). Di lontano, echi impropri dei Depeche Mode e della scena di Bristol. Che cos’è accaduto? Che fine hanno fatto i Gang of Four? Lo spirito originale si è barricato nelle liriche, unica risposta coerente ai solchi del passato. Se il progetto radicalizza una rottura, perché non porre un segno forte cambiando il moniker e affermare una identità nuova di zecca, plasmabile a piacimento del nuovo fan, con buona pace del vecchio? Non è, a conti fatti, una presa in giro a regola d’arte?
Questo disco conferma quanto di cattivo si era visto nel concerto dello scorso anno. Sotto il palco eravamo impegnati a porci domande analoghe, optando alfine per una fiumana alcolica buona almeno a fornirci una reticenza nel giudizio, come chi si copre gli occhi per non guardare, inerme.
Non si poteva sperare di peggio.