The Heavy Countdown #64: Hail the Sun, Beartooth, Riverside, Terror

Hail The Sun – Mental Knife
Ci sono alcuni album così carichi di idee ed elementi interessanti che è davvero un peccato che rimangano nascosti nelle pieghe dell’underground. Ecco, “Mental Knife” degli Hail the Sun è proprio uno di questi. Partendo con ordine, nell’ultimo lavoro dei californiani (che hanno come numi tutelari Glassjaw e At The Drive In) i punti di forza sono: un vocalist/batterista che spacca, una bella intensità post hardcore, cambi di tempo e stile praticamente continui ma non fastidiosi, e per finire un’impronta progressive molto intrigante (ascoltate a “Lesson In Lust”). Ora che ho finito la lista della spesa, corro di nuovo ad ascoltarmi sto disco.

Beartooth – Disease
Ancor più instradati sulla fulgida via dei ganci perfetti e dei pezzi catchy che più catchy di così si muore, i Beartooth, dopo la bella esperienza con “Aggressive”, grazie a “Disease” dimostrano di essere una delle stelle più brillanti del (loro) firmamento. In questo terzo full-length sembra più che evidente che Caleb Shomo e soci siano prontissimi per fare il grande passo, facendo sfociare la loro proposta metalcore sempre più spesso e volentieri nell’alternative a anche addirittura nel pop punk (vedi “Fire” e “Believe”). C’è ancora qualche riempitivo, ma è un peccato veniale in un disco che va giù che è un piacere.

Tilian – The Skeptic
Forse Tilian è un nome che a molti non dirà nulla, ma chi segue la scena prog/mathcore contemporanea sa benissimo di chi sto parlando. Tilian Pearson è il clean vocalist dei Dance Gavin Dance, una formazione già di per sé molto prolifica. Ma per il cantante evidentemente non è mai troppo, infatti ha già inciso ben tre dischi da solista. In “The Skeptic” il Nostro riesce a dare libero sfogo senza i vincoli della band madre alle proprie radici pop punk e indie, trasformandosi in un album electropop a partire da “Let Her Go” in avanti. Ulteriore dimostrazione della grandezza di Tilian, e del fatto che meriterebbe una maggiore considerazione, anche al di fuori dei soliti giri.

Riverside – Wasteland
Uno struggente percorso di catarsi nel dolore, per trovare di nuovo la luce. Concettualmente si può riassumere in questo modo “Wasteland”, un disco che per i Riverside significa molto, ad appena due anni di distanza dalla tragica scomparsa del chitarrista Piotr Grudzinski. Senza risultare pretenziosi, i polacchi ci accompagnano attraverso un viaggio nel tempo, accarezzando sonorità progressive rock tradizionalmente ottantiane, risultando in un’opera elegante e malinconica, da assaporare lentamente nella sua interezza e a mente sgombra.

Terror – Total Retaliation
“Total Retaliation” è un lavoro essenziale e diretto, proprio come i Terror ci hanno abituati da sedici anni a questa parte. La band losangelina, arrivata al settimo full-length, può vantare una carriera credibile e solida non solo grazie alle proprie uscite discografiche, ma anche e soprattutto ai live tritaossa. I Nostri non sono mai stati degli innovatori, e ovviamente anche “Total Retaliation” non si discosta dagli stilemi hardcore di sempre (eccezion fatta per l’ispirazione hip hop di “Post Armageddon Interlude”).

Anaal Nathrakh – A New Kind of Horror
Proprio nel 2018, gli Anaal Nathrakh festeggiano vent’anni di carriera e l’occasione è perfetta per dare un seguito a “The Whole of the Law” (2016). “A New Kind of Horror”, il decimo full-length del duo britannico, è ispirato agli orrori della prima guerra mondiale, raccontata con rabbia, frustrazione e nichilismo da chi ne è sopravvissuto. Sentimenti e ideologie che si rispecchiano in un death/ black metal infarcito come sempre da synth strombazzanti, growl e screaming raccapriccianti, e come se non bastasse lyrics che travalicano di molto la violenza e la blasfemia. Ricetta vincente non si cambia, per nulla al mondo.

Revocation – The Outer Ones
Il 2018 è un’ottima annata per il metallo più estremo, e alla lista delle uscite degne di nota del lato ancora più scuro della scena heavy si aggiunge “The Outer Ones”. I Revocation, nonostante siano prolificissimi, riescono in qualche modo e come da buona tradizione a mantenere alta la qualità della loro proposta, che consiste in un technical death metal sempre solido e convincente, impreziosito da guizzi che vanno dal djent alle aperture melodiche inaspettate. Un disco che non solo i fan della prima ora apprezzeranno, ma che porterà altri adepti alla causa dei Revocation.

Dir En Grey – The Insulated World
Eccentrici, teatrali, imprevedibili, come i protagonisti di un videogame o di un anime. Tre aggettivi che dipingono i Dir En Grey fin dagli esordi e che si rispecchiano nei propri lavori. Anche “The Insulated World” non ne è immune, rappresentando un alt-metal screziato di eco elettroniche e nu metal (“Devote My Life”), delicatezze melodiche (“Ranunculus”) e sperimentazioni avantgarde spinte (“Aka”), il cui collante è l’impressionante estensione vocale del frontman Kyo. “The Insulated World” ha però un grandissimo difetto, oltre una certa comprensibile autoreferenzialità: la produzione tutt’altro che al top.

Vitja – Mistaken
Per un attimo ho pensato che i Vitja suonassero (post)hardcore, ma in realtà qui siamo di fronte a un disco prettamente alt-metal/electronicore. La rabbia c’è e si sente che è genuina, peccato per le voci pulite appiattite da un autotune che in certi episodi fa troppo Fedez, a cui si vanno ad aggiungere momenti strappalacrime non esattamente validi. Il terzo album dei Vitja ha sicuramente qualche pezzo con del potenziale (vedi la title track), ma per il resto possiamo tranquillamente passare oltre.