Alcest Les Voyages De L'Ame


Il nuovo Alcest potrebbe persino risultare spiazzante per chi già conosce il progetto più famoso di Neige, polistrumentista francese che ha scorrazzato l’underground black metal in lungo e in largo prima di concentrarsi definitivamente su questo gruppo, in realtà più una one man band con Winterhalter a dare una mano dietro alle pelli. “Écailles De Lune”, uscito due anni fa, aveva mostrato che è possibile accostare black metal, shoegaze e post rock in un unico album, e il risultato finale può pure essere eccellente. “Les voyages de l’âme” rincara la dose e s’inoltra ancor di più in tale commistione, smussando gli spigoli e rendendo le otto composizioni del disco quasi tutte molto simili per atmosfere e sonorità complessive. Il black metal, salvo sporadici ritorni dello scream, è quasi sparito, dissolvendosi in un post rock volatile che ingloba al suo interno pure lo shoegaze e si distende trionfante per tutti i 50 minuti di durata dell’opera. Tuttavia non è possibile incasellare l’LP neppure in questo genere, a causa della sua peculiarità di fondo; lo si potrebbe chiamare ‘post black metal‘, allora? Può darsi, ma quel che più conta è accorgersi che “Les voyages de l’âme” è sia un passo avanti rispetto al predecessore, sia un complessivo arrestarsi della creatività del musicista transalpino.
I pezzi sono belli, senza alcun dubbio. L’apripista “Autre Temps” introduce perfettamente l’atmosfera che si respirerà nel resto dell’album: arpeggi di chitarra acustica che lasciano quasi subito spazio a lunghe perorazioni dell’elettrica, mentre il canto soffuso dona alla canzone un sapore di ballata rock onirica ed eterea, due aggettivi sicuramente abusati per musica di questo tipo, ma inevitabili da utilizzare, poiché descrivono meglio di qualunque altro sinonimo quello che si sente in queste composizioni. In alcune delle quali, è vero, si può notare un inasprimento del riffing (cfr. “Là Où Naissent Les Couleurs Nouvelles” e, soprattutto, “Faiseurs de Mondes“, l’unica in cui il black è ancora abbondantemente presente), senza che però venga mai messo in discussione l’assunto di base, quello di mantenere il tono complessivo dei pezzi sull’onirico ed etereo, appunto. La chiusura è affidata a “Summer’s Glory“, che ribadisce tutto quanto avvenuto in precedenza e, anzi, si apre e prosegue con un riff che potrebbe esser stato ideato dai Mogwai.
La produzione è la migliore che gli Alcest abbiano mai avuto, e certe raffinatezze nella scelta dei suoni indicano la grande professionalità del lavoro. Che però non fornisce nessun nuovo spunto, al contrario dei due che l’hanno preceduto. Segno che Neige ha preferito concentrarsi sulla forma piuttosto che sulla sostanza, cosicché la bellezza custodita in “Les voyages de l’âme” rischia di sbiadirsi col passare del tempo.
Stefano Masnaghetti
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