All Shall Perish – This Is Where It Ends

All Shall Perish This Is Where It Ends Recensione
Buon ritorno per i californiani All Shall Perish, che con “This Is Where It Ends” aggiustano un po’ il tiro rispetto al deludente “Awaken The Dreamers” (2008) e mettono a frutto la loro capacità di spaziare fra più generi. Indubbiamente la musica del quintetto di Oakland rimane ascrivibile alla corrente deathcore, però a questo giro i Nostri hanno deciso di differenziare maggiormente i tempi e le atmosfere delle canzoni, puntando più sulla velocità rispetto al groove – core in tempo medio che dominava il predecessore. E l’impatto ne ha guadagnato, tanto che nonostante i 53 minuti di durata il disco raramente annoia, anche se le ultime tracce non sono delle più esaltanti.
Quello che comunque riesce in “This Is Where It Ends” è un recupero delle loro influenze swedish death della prima ora, che sin dai primi brani (cfr. i riff iniziali di “There Is Nothing Left” o di “Embrace The Curse“, di chiara matrice At The Gates, oppure certe soluzioni che ricordano i primissimi In Flames in “A Pure Evil“) contribuiscono a rinvigorire la loro proposta. C’è anche spazio per alcuni spunti vicini al thrash metal propriamente detto, specie negli assoli, mentre le digressioni hardcore risultano più armonizzate e meno ‘infestanti’, e il risultato è che gli stop and go con riffone stoppato d’ordinanza appaiono più ragionati e meno buttati a caso come fossero meri riempitivi, un problema che aveva finito col rovinare il risultato finale di “Awaken The Dreamers”. Buona anche la prova vocale di Hernan “Eddie” Hermida, che qui sfrutta un po’ meno i passaggi in ‘clean vocals’ per concentrarsi maggiormente sul growl.
I difetti son quelli di sempre. Gli All Shall Perish, sin dagli esordi, si sono segnalati come una band talentuosa e dall’ottima tecnica, ma a livello creativo non sono mai stati dei pesi massimi. E anche quest’ultima fatica non smentisce questi limiti; si ha l’impressione che sappiano fare bene molte cose ma nessuna benissimo, e forse è per questo che ancora non si sono imposti completamente. Certo hanno un buon successo, ma ai tempi di “The Price Of Existence” (2006) si pensava che nei successivi cinque anni avrebbero potuto fare persino più strada. “This Is Where It Ends” è un disco più che sufficiente, quindi, ma è improbabile che possa durare più di una stagione.
Stefano Masnaghetti

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