Tette. Dai, è ovvio che alla fine se ne sarebbe parlato. Tette, tette, zinne, poppe, puppe, meloni, seni, bocce, pere. A volte, durante certe conversazioni, è difficile tenere lo sguardo alzato…casca l’occhio. Brutta storia. Allo stesso modo, è arduo parlare dei Benedictum senza soffermarsi sulle forme della cantante Veronica Freeman. Quindi tanto valeva esorcizzare il tutto, subito. Anche perché, volenti o nolenti, la fisicità di Veronica è centrale nella proposta musicale della band.
La formosa frontwoman ha polmoni d’acciaio: ideale controparte femminile del compianto Ronnie James Dio, è manna dal cielo per i fans di quel tipo di rock e per tutti quelli che sono stufi delle fatine del metallino melodico (Tarja e compagnia bella, per dire). La proposta degli americani Benedictum è rimasta praticamente immutata dei tempi del debutto (2006): Black Sabbath e Dio anni ’80, diverse robette elettroniche per suonare contemporanei, qualche soluzione melodica alla Dream Theater (“Seer”), assoli in shredding. Il disco ha poche sorprese: canonico, discretamente confezionato, giusto qualche riserva per il mix che a volte sotterra un po’ la chitarra ritmica (grave pecca su un disco di musica pesante) e qualche effetto di troppo sulla voce (la preferiamo al naturale, come in “Bang”). Tra le novità, se così si può dire, c’è una aumento delle linee vocali più facili da assimilare rispetto ai cari urlazzi (il che evidentemente ci dispiace).
Per il resto, solo perplessità sulla situazione della band: sono in giro da 5 anni, ma al massimo avranno suonato in un festival estivo in pieno pomeriggio. Possibile che non riescano a sfruttare meglio la sua voce? Possibile che non riescano a vendere la figura prorompente e fantasy/sado di Veronica? Possibile che proprio questa sia una lama a doppio taglio che fa perdere loro credibilità? Boh. Nel dubbio: tette!
Marco Brambilla