The Levelling Dust – Cold Mouth Prayer – Imago Mortis – Through The Belly Of Damnation – 1651 – Limbs Of Worship – Accuser / Opposer – Vanity Of Vanities – Womb Of Perishableness – Voices From Avignon
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Il solito disco dei Marduk, se siete loro fan compratelo a scatola chiusa; e la recensione potrebbe anche finire qui.
Invece, a ben guardare, nel caso di “Rom 5:12” le cose non stanno esattamente così. Perché, dopo il piattissimo “Panzer Division Marduk” (una delle mie più concenti delusioni in ambito musicale), gli Svedesi non avevano fatto altro che pubblicare una sequela di album sempre meno ispirati e sempre più stereotipati, tanto che più volte avevo auspicato un loro scioglimento.
Con il nuovo platter sembra che qualcosa si muova, anche e soprattutto per quanto riguarda l’atteggiamento concettuale verso la costruzione dei brani: smessi i panni di quelli che devono per forza tenere ritmi forsennati per far male, e infarcire ogni canzone di blast beat come se piovesse, i Marduk hanno finalmente capito che una maggiore varietà compositiva è indispensabile per tenere alta l’attenzione dell’ascoltatore.
Così, a fianco dei soliti pezzi al fulmicotone quali “Through The Belly Of Damnation” e “Cold Mouth Prayer”, troviamo anche mid tempo pesanti e soffocanti come “The Levelling Dust” e la quasi epica “Imago Mortis”; oltre a tutto ciò, spiccano per la loro originalità esperimenti sonori decisamente inusuali per il quartetto: “1651” si sviluppa su di una lugubre base sinfonico – industriale sopra la quale Mortuus sfodera una gran prova vocale, mentre “Accuser / Opposer” è una lenta litania (con tanto d’inserimento di canti gregoriani) che si fregia della partecipazione di Alan Nemtheanga, il maestoso cantante dei Primordial.
Dovendo trovare un paragone per “Rom 5:12” fra la folta discografia della band, direi che le dinamiche dei pezzi ricordano molto da vicino quelle di “Nightwing”, ultimo album “storico” della band nonché uno dei maggiormente compositi e riusciti.
Insomma, sebbene il loro stile sia ormai riconoscibile a mille miglia di distanza (ed è giusto che sia così), dopo un’analisi accurata si può ben dire che questo non è il solito disco scialbo e monocorde al quale i Marduk ci avevano abituati negli ultimi anni: anzi, si tratta di un ritorno a livelli più consoni al loro lignaggio ed al loro status di formazione simbolo del black Svedese.
Rimane valido il consiglio rivolto ai loro fan: comprare a scatola chiusa.
S.M.