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Chi frequenta la band di Sakis Tolis già da lungo tempo, ne conosce ormai pregi e difetti a menadito. Laddove l’originalità e la ricerca di sempre nuovi modi per declinare il black metal sono encomiabili, lo stesso non si può dire riguardo alla continuità dei risultati artistici. Infatti, i Rotting Christ hanno da sempre alternato grandi dischi a pubblicazioni più modeste: certo, gli spunti degni d’interesse ci sono sempre stati, eppure in alcuni episodi l’incontro fra black e gothic non è stato dei migliori.
L’introduzione serve a ribadire che, dopo un capolavoro della portata di “Theogonia” (forse il miglior album della loro carriera), era lecito attendersi un calo d’ispirazione. Che puntuale è arrivato, anche se in questo caso il gothic c’entra molto meno, presente com’è solo in qualche breve sprazzo. “Aealo”, narrazione delle gesta di battaglia di un guerriero ellenico, è una chiara prosecuzione del sound presente nel disco sopracitato, seppur con qualche variazione e piccoli aggiustamenti di rotta. Dato il tema in questione, sale il tasso di epicità, aumentano i tempi medi e i passaggi melodici, mentre si riducono le bordate di black più veemente e, cosa da non trascurare, si assottigliano anche certe vertigini psichedeliche che, sotto forma di salmodiare moresco, impreziosivano ulteriormente “Theogonia”. Sakis e compari hanno sempre celebrato la loro cultura, ma in questo senso “Aealo” supera ogni limite, con tanto di coro femminile tradizionale (Pliades) ad inserirsi in numerosi brani. L’uso della zampogna in “Dub-Sag-Ta-Ke”, poi, accentua ancor di più le atmosfere di primitivo paganesimo che costellano l’intero lavoro. È presente anche un grande nome quale ospite d’onore: nientemeno che Diamanda Galas, nella conclusiva “Orders From The Dead”; purtroppo non in una delle sue prove migliori, tant’è vero che la canzone non aggiunge molto al resto dell’opera.
Il fatto è che mancano veri e propri picchi, ci si limita a stare su livelli discreti e non ci si spinge mai oltre. In “Aealo” non sono rintracciabili canzoni che potrebbero diventare classici della band con il passare del tempo. Piacciono le tenebrosità di “Noctis Era”, affascina l’incedere spietato di “Thou Art Lord” e quello folk di “Pir Threontai”, ma si tratta di composizioni che su “Theogonia” sarebbero rimaste nella media. Non si pensi, comunque, a una delusione totale e senza appello; si tratta sempre di un buon disco, semplicemente non è annoverabile tra i vertici della loro carriera. I Rotting Christ hanno fatto molto meglio, ma pure molto peggio. Questa ultima creazione si situa nella terra di mezzo.
Stefano Masnaghetti