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I Phazm sono una realtà del metal francese, più precisamente della zona di Nancy.
Cornerstone of the Macabre, oggetto di recensione, si attesta come loro terzo full length proponendosi di continuare sulla scia del precedente lavoro pubblicato, Antebellum Death ‘n’ Roll, dal cui titolo è possibile individuare i tratti stilistici della proposta del combo: death ‘n’ roll, per l’appunto, quello che fa capo agli Entombed di Wolverine Blues, effettivi “inventori” di questo genere.
Quella del quartetto d’oltralpe, si sarà capito, è musica quindi dalle non eccessive pretese: leggera e di subitaneo impatto nonostante la pesantezza del riffing, a tratti allegra, a tratti cupa, si avvale delle molteplici influenze che sono in seno al bagaglio doom/death del gruppo: tracce come The Worm On The Hook, Welcome To My Funeral e The End sono in effetti riconducibili alla loro prima incarnazione, e hanno dalla propria quell’incedere marziale ed al contempo possente radicato nel death metal. La melodia è sempre rintracciabile nel riffing, ma è meno presente ed invadente rispetto ad altri episodi quali la trascinante opener Love me Rotten e The Old Smell Of The Meat, che mescola al thrash l’allegria hard rock.
La varietà è al tempo stesso pregio e difetto dei Phazm: Damnation risulta piuttosto noiosa nel suo incedere forzatamente rock ‘n’ roll, a dispetto dello stacco centrale più pesante, di contro sono apprezzabili gli inserti in track list di brani assolutamente incoerenti come Mucho Mojo!, brano southern, e Strange Song, dall’andamento country.
A chiusura del platter sono poste una cover, Damage Inc. dei Metallica, a detta di chi scrive reinterpretata in chiave piuttosto anonima, e Adrift, che si distingue e per un bel riff cadenzato, e per un assolo pregevole.
Cornerstone of the Macabre è, in conclusione, un disco che vive di alti e bassi: a episodi convincenti se ne alternano altri che fanno subentrare un po’ di noia. Full length che non lascia sicuramente il segno, ma che può essere un discreto diversivo tra un ascolto impegnativo e l’altro.
Andrea Arditi