In un mondo giusto, i Sadist sarebbero sul podio dei gruppi culto (assieme a Death, Cynic, Atheist e Pestilence), Tommy Talamanca sarebbe un talento invidiato, conteso e venerato (come giustamente avviene per Patrick Mameli, Paul Masvidal e Chuck Shuldiner). Purtroppo la realtà è diversa, in quello che non è il migliore dei mondi possibili, e la fama dei Sadist non ha mai varcato i patri confini come avrebbe meritato. Questo è un delitto perché i Nostri non sono solamente un gruppo storico, non sono semplicemente responsabili, al pari degli stimati colleghi americani, dell’evoluzione e sviluppo di un certo suono (quello che vuole il Death Metal cannibalizzare aspetti e intuizioni della musica più colta senza rinunciare all’aggressione di base) ma, a differenza di alcune delle stimate band di cui sopra, sono riusciti, nel corso del tempo, a proseguire un percorso di crescita costante che li ha portati a trasformarsi e a mutare coordinate, pur mantenendo una fortissima caratterizzazione di base senza restare imprigionati nel loro album capolavoro (“Tribe” del 1997).
Descrivere il nuovo disco è curiosamente semplice, metal estremo, costruito ad arte, intricato quanto basta per non essere banale restando digeribile e mantenendo tutto l’impatto fisico e l’aggressività necessaria. A questo si aggiunge la loro grandissima capacità di costruire brani carichi di atmosfera e ricercati negli arrangiamenti. Non c’è niente da fare, i Sadist dimostrano, ancora una volta, di essere fra i migliori gruppi non solo italiani, ma del mondo.
Purtroppo però, in questo 2010, i Sadist dimostrano anche di avere un difetto, questo difetto si chiama Trevor (voce). Troppo monocorde, troppo ripetitivo, troppo banale e ormai incapace di costituire un valore aggiunto. Per i Sadist, a nostro parere, servirebbe un approccio vocale meno statico e più moderno, con variazioni stilistiche e timbriche in grado di aggiungere (invece che togliere) sfumature ai brani.
Insomma, un disco che poteva essere eccellente e invece resta solo buono, se volete ascoltare un brano in particolare, provate con “Evil Birds” e la strumentale “Ogron”.
Stefano Di Noi