Deicide – To Hell With God


Quando si parla di death floridiano, i tre gruppi che è impossibile non nominare sono Morbid Angel, Obituary e Deicide. Laddove i primi da sempre rappresentano il volto più misterioso ed ‘esoterico’ che questo sotto-sottogenere abbia mai espresso, e la band capitanata da John Tardy quello più patologico e malato, Glen Benton e soci si sono invece assunti il compito di portare avanti l’espressione più rozza e ignorante dello stesso, fatta di aggressioni all’arma bianca (a livello musicale) e blasfemia a buon mercato, tutta bestemmioni e poco altro (a livello lirico).
Eppure oggi, nonostante il loro stile sembrasse quello meno propenso a trovare nuovi sbocchi vitali col passare degli anni, sembra che del trio siano proprio i Deicide a stare meglio, almeno a livello discografico (i Morbid Angel non registrano un cd dai tempi di “Heretic”, e il ritorno degli Obituary non è stato dei più esaltanti). Sembravano spacciati, a giudicare dagli scialbissimi lavori di inizio Millennio (“In Torment In Hell” è quasi imbarazzante tant’è scontato). Invece con “Scars Of The Crucifix” e, ancor di più, con “The Stench Of Redemption” il complesso ha ritrovato parte dell’ispirazione che aveva fatto grandi i suoi primi dischi dei Novanta.
To Hell With God” ruggisce osceno sin dall’apripista, ovvero la title – track stessa, mostrando un suono debitore proprio di “The Stench Of Redemption”, incentrato più sulla velocità che sull’atmosfera, e dalle chitarre mai così ‘secche’ e guizzanti. Chi, per nostalgia o altro, è legato ai vecchi Deicide, sappia che qua non li ritroverà, se non molto parzialmente (qualche passaggio giusto in “Hang In Agony Until You’re Dead” e poco altro); il resto dei pezzi è un susseguirsi di tipiche rasoiate death metal, condotte però con quel gusto ‘melodico’ che i nuovi Deicide hanno fatto proprio, specialmente per quanto riguarda gli assoli di Ralph Santolla (sentitevi, ad esempio, quello di “How Can You Call Yourself A God”, quasi thrash metal bay area style). La produzione è forse la più pulita che un disco dei floridiani abbia mai avuto, tuttavia l’aggressività non ne risente così tanto, e fra blast beat azzeccati e i grugniti di Glen l’LP scorre che è un piacere. Non si tratta di un capolavoro, ma è difficile non provare un moto di gioia mentre si ascoltano manate in faccia come “Witness Of Death” o “Empowered By Blasphemy”.
Ottima conferma di una seconda parte di carriera più che buona, chi ha apprezzato la svolta degli ultimi anni lo gusterà con piacere.
Stefano Masnaghetti

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