I Destroy Rebuild Until God Shows, capitanati dal vocalist Craig Owens (ex Chiodos), si presentano al mondo degli appassionati del post-hardcore con un omonimo album che sembra essere fatto apposta per piacere. Tanti spunti interessanti e poca complessità.
Per quanto gli inquadramenti musicali possano apparire inadeguati, mai come in questo caso il prefisso “post” descrive gli smussamenti degli angoli più crudi dell’hardcore. A partire dalla melodia molto Foo Fighters di “The Hangman”, allo screamato che appare un po’ ovunque, fino alle distorsioni new metal di “If you think this song is about you. Then it probabily is” coperte da tappeti di tastiere molto gothic. Nonostante le numerose commistioni che vi si possono scorgere, l’album scorre lineare, sicuramente non frutto di copia-incolla senza senso. Ne è una prova la capacità della chitarra di passare dal più classico suono overdrive alle distorsioni metal più dure, senza che i pezzi perdano di significato. E’ un lavoro di gruppo, non c’è dubbio, e a confermarlo ci ha pensato Nick Martin (chitarra) dichiarando di non essersi mai trovato così bene in un lavoro di gruppo. L’obbiettivo, continua Martin, “non è il successo, bensì creare musica in sinergia con coloro che sono attorno a noi, i nostri fans”.
Due cose non convincono in questo LP di debutto: l’utilizzo dei synth, che riassumendolo in una parola si può definire “banale”, ed i cori lontani dall’idea di armonia con cui l’intero filone rock-metal ci ha stregati. Un album non per tutti, non per il gusto, ma per gli appassionati del genere.
Stefano Tirabasso