Tomb Of The Serpent King / Butchers Of The Sea – Frost And Fire – Tree Of Life – Blood Eagle – Voyager – Eye Of The Storm – Return Of The Serpent King – Conquest – Totentanz (The Dance Of Death)
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Il nuovo album dei Manilla Road è leggermente meno epico del precedente “Gates Of Fire”, molto meno progressivo di “Atlantis Rising”, più convincente e compatto di “Spiral Castle”, fortemente intriso di atmosfere doom e sonorità acustiche. Queste le maggiori differenze rispetto alla loro produzione più recente. Per il resto ogni fan della band di Wichita sa perfettamente cosa aspettarsi da un loro disco: puro metallo grezzo e barbarico, nel quale passaggi ricchi di pathos mitologico (questa volta i nove brani sono interamente dedicati alle gesta dei Vichinghi) si alternano a momenti più riflessivi ed a lente discese negli abissi. I riff e gli assoli di chitarra badano come sempre all’essenziale, fregandosene altamente di inutili tecnicismi, tesi unicamente a sprigionare emozioni e visioni d’altri tempi (quelle che riuscivano a creare i grandi gruppi degli anni Ottanta, per intenderci). Difficile segnalare delle canzoni in particolare, dato il livello piuttosto uniforme di “Voyager”: probabilmente a brillare particolarmente è il trittico centrale “Blood Eagle (dalla magniloquente introduzione d’organo), “Voyager” (esaltante il chorus, tra le cose migliori della loro carriera) e “Eye Of The Storm” (un’ottima ballad), ma ogni pezzo merita un ascolto approfondito.
Ovviamente, dopo aver passato in rassegna i punti di forza del disco, è necessario segnalare anche le pecche presenti nello stesso: una su tutte la produzione. Certamente la musica dei Manilla Road non necessita delle superproduzioni patinate tanto in voga negli ultimi anni, ma un suono meno amatoriale e leggermente più chiaro e definito sarebbe utile per esaltar maggiormente le doti del gruppo. Altra nota dolente è, purtroppo, la voce di Mark Shelton: non che il fondatore del complesso abbia mai avuto doti canore eccezionali; ma il suo lamento sgraziato si è sempre adattato perfettamente al sound del gruppo, sottolineandone il carattere essenziale e battagliero. In “Voyager”, però, la sua prestazione è fin troppo sottotono e monocorde (ahimè, gli anni passano per tutti…).
Ciò detto, il tredicesimo full – length degli Statunitensi rimane un grande esempio di come, nel 2008, si possa ancora scrivere musica terribilmente retrò ma, allo stesso tempo, terribilmente affascinante. Ogni fan del gruppo è caldamente consigliato all’acquisto.
S.M.