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Gli Human Eye cambiano etichetta, passando dalla In The Red alla Hook Or Crook, ma per fortuna non cambiano musica: il loro debut album omonimo, di tre anni fa, si poteva già annoverare tra i dischi imprescindibili degli anni 00, ma questo ritorno, incredibile a dirsi, risulta persino più estremo, allucinato e scalmanato rispetto al suo predecessore.
Evidentemente Timmy “Vulgar” Lampinen, leader e fondatore del quartetto Statunitense, non è tipo da sedersi sugli allori, e della stessa pasta son fatti i suoi compagni di scorribande: così ecco nascere dal caos, e nel caos precipitarsi, questo “Fragments Of The Universe Nurse”, ossia una delle più grandi follie “psych – garage noise” di tutta la storia del rock. Potrei anche smetterla qui di scrivere, e intimarvi di recuperare assolutamente il vinile in questione (nota bene: per ora l’album è disponibile solo in questo formato). Ma mi preme sottolineare ancora qualche cosa.
Prima di tutto, gli Human Eye possono essere considerati i più validi eredi dei Chrome: se già nel debutto questo era percepibile, ora le contrazioni e gli assolo raschiati della chitarra di Lampinen fanno davvero accapponare la pelle, mentre l’ombra di Helios Creed continua a sbucare da dietro l’angolo. Ma è proprio il modo di far collidere Stooges e scorie industriali a ricordare terribilmente il geniale duo di San Francisco. Pezzi come “Rare Little Creature” e “Dinosaur Bones” sono assemblati sovrapponendo gli assalti iconoclasti dell’Iguana all’elettronica primitiva e scheletrica dei Suicide.
Ovviamente c’è anche tanto, tantissimo altro. Nei 43 minuti di “Fragments…” è condensato tutto il meglio del garage punk di ieri e di oggi: dai primigeni ruggiti dei Sonics si giunge alla mania distruttiva dei The Hunches, senza dimenticare lo spirito rock’n’roll degli Oblivians e le decostruzioni primitiviste dei Pussy Galore. Nei momenti più anfetaminici del disco si raggiungono anche i vertici deliranti del cosiddetto weird – garage. Stiamo parlando di quei manipoli di forsennati schizoidi che fanno capo, principalmente, alla frenesia dei The Hospitals, e che ultimamente rappresentano un vero e proprio caso nel sottobosco underground americano: tra questi, da citare almeno i rozzissimi Eat Skull. Ma quello che eleva gli Human Eye al di sopra di molti loro simili è una fantasia e una capacità d’improvvisazione fuori dal comune: le digressioni psichedeliche di “Poison Frog People”, capolavoro nel capolavoro, paiono la perfetta sintesi tra le atmosfere opprimenti dei Neurosis e degli Acid Mothers Temple ancora più disturbati.
Sicuramente quest’opera pazzamente visionaria ed epilettica comparirà tra i miei dischi dell’anno, e servirà a riaccendere la fiamma del garagista che è in voi.
Stefano Masnaghetti