[Garage Noise] The Hospitals – Hairdryer Peace

[Garage Noise] The Hospitals – Hairdryer Peace (2008)

Hairdryer Peace – Getting Out Of Bed – Rules For Being Alive – Ape Lost – This Walls – Sour Hawaii – Smeared Thinking – Teams – Animals Act Natural – Me, A Ceiling Fan – BPPV – Scan The Floor For Food – Don’t Die

Myspace della band
Autoprodotto

I The Hospitals completano la loro evoluzione (?) sonora e, giunti al terzo disco, mostrano al mondo che il rock non ha ancora esaurito il suo potenziale destabilizzante. Adesso comprendiamo pienamente che il precedente “I’ve Visited The Island Of Jocks And Jazz” era un semplice prodotto di una fase di transizione; serviva a traghettare la band dal garage ultradiretto e ultraviolento dell’esordio omonimo alla totale dissipazione materica di questo “Hairdryer Peace”.

Per agire indisturbati, Adam Stonehouse e soci hanno deciso di auto prodursi e di pubblicare l’opera solamente in vinile. Questa è l’unica critica che posso muover loro: va bene il DIY e tutto il resto, ma una maggior fruibilità sarebbe auspicabile, perché abbiamo a che fare con dei contenuti di altissimo valore. Credetemi, non provavo un piacere e uno stordimento simili da quando ascoltai per la prima volta l’esordio dei Pussy Galore, oppure “Twin Infinitives” dei Royal Trux, o ancora “Kollaps” degli Einsturzende Neubauten. Ecco, una descrizione calzante potrebbe essere questa: “Hairdryer Peace” assomiglia moltissimo a un album dei Royal Trux risuonato dai primi Einsturzende.

Citazionismo a parte, qui non stiamo parlando di canzoni, o di destrutturazione della forma – canzone: in questo caso le canzoni neppure ci sono. Ci sono invece 14 detriti sonori, o se preferite 14 mini concerti per rumori degradati e singhiozzanti. I The Hospitals, in poco più di mezz’ora, allestiscono l’auto annientamento della propria musica, sommergendo in cacofonie deliranti ogni brandello di melodia, annientando l’incedere ritmico con continui inserimenti di distorsioni sghembe e irritanti, affogando le parti vocali in un orribile rumore di fondo. Ogni detrito è perfettamente compiuto in se: quello che li accomuna tutti è il loro non reggersi in piedi, il loro franare al suolo senza aver neppure la forza di tentare un’improbabile ascesa. Segnalarne qualcuno in particolare sarebbe inutile, scegliete voi quello che preferite.

Mentre le prime fatiche del gruppo rappresentavano la furia distruttiva, fotografandola nel suo momento culminante, “Hairdryer Peace” mostra invece quello che resta a distruzione avvenuta: nient’altro che un ammasso di ferraglia rumorosa che gira su se stessa, priva di obiettivi e di orizzonti verso i quali tendere. Insomma, il punto di non ritorno del rock, oltre il quale è (quasi) impossibile andare. A suo modo una pietra miliare, imperdibile.

Stefano Masnaghetti 

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