[Hard Rock/Metal] G.o.D. – Generation On Dope (2010)


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Si tratta del debut album per i G.o.D., acronimo di Generation On Dope. Ma il quartetto ha una lunga storia alle spalle: Simone Zuccarini (voce), Alessandro Zuccarini (chitarra), Mario Gilardengo (basso) e Luca Terlizzi (batteria) incrociano i loro strumenti per la prima volta nel 2002, formando l’hard rock band Razzle Dazzle. Durante gli anni Zero pubblicano un paio di dischi, ma nel 2008, in seguito all’improvvisa scomparsa di Mario, decidono di abbandonare il vecchio nome e, con l’entrata in formazione del nuovo bassista Riccardo Crespi, danno vita a questo nuovo gruppo.

Che cosa suonano, oggi, i G.o.D.? La biografia afferma che “generation.on.dope (la grafia ufficiale è proprio questa) è caratterizzato da un sound modern metal che incontra l’irruenza del punk e le melodie dell’hard rock”. La descrizione è verosimile, ma non convince del tutto. Perché è chiaro che il complesso ha lasciato il proprio cuore fra gli Ottanta e i Novanta, e le parti più moderne riguardano soprattutto la produzione, al passo coi tempi e davvero ben calibrata, spessa, potente e ricca di groove. La musica vera e propria, invece, assomma in sé un largo ventaglio di stili e influenze, che vanno dallo street rock Eighties style (Take You Down) al post grunge virato nu metal (“Chemical Sanity” e “Breed”), dal crossover fra metal e hard rock (Let Me Come) all’hardcore melodico di metà ’90 (“Perfect Alibi” e “Inside The Gun”), arrivando persino a lambire il power metal in stile Labyrinth con “Remember Me”, in cui è addirittura presente un assolo di stampo classic metal. Il canto di Simone è spesso violento e strillato, riuscendo così a dar credibilità a testi viscerali, sia quando affrontano il privato sia quando prendono di mira la società.

Sicuramente “Generation On Dope” non dà sfoggio di grande originalità, rimescolando sonorità che sono più che risapute, ma lo fa piuttosto bene, e i G.o.D. dimostrano di saper districarsi egregiamente attraverso il classico triangolo rockettaro chitarra – basso – batteria. Buon lavoro scorrevole e gagliardo, seppur non certo trascendentale. Le uniche due cadute di tono – clamorose, però – si hanno quando c’è di mezzo l’elettronica, ossia nel brutto remix di un loro vecchio brano, “Dance”, posto a chiusura dell’album come bonus track, e soprattutto in “Cinnamon”, orribile mix di rock indeciso fra stoner (il riff iniziale), hard ottantiano (lo sviluppo) e beat da dancefloor di quart’ordine. Purtroppo il pezzo è stato sciaguratamente scelto quale apripista del disco, e non rende davvero giustizia alle qualità del complesso, risultando indigesto sia per chi segue il rock sia per chi si ciba di suoni sintetici, e irritando anche i pochi che ascoltano entrambe le cose. Peccato, perché per il resto l’album è davvero godibile.

Stefano Masnaghetti

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