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I Priestess sono un giovane gruppo canadese, qui al secondo album. Da noi sono ancora poco conosciuti, mentre in patria possono già vantare un buon seguito. Consultando wikipedia potrete informarvi esaustivamente su di loro, venire a conoscenza di quanti problemi abbiano dovuto superare per pubblicare questo disco e scoprire la presenza di un loro pezzo su Guitar Hero. In questa sede, però, è più proficuo e interessante analizzare la musica della band, tralasciando il resto. Perché di cose da dire ce ne sono moltissime.
Quello che balza subito alle orecchie mentre si ascolta “Prior To The Fire” è di avere a che fare con musicisti dall’approccio ‘enciclopedico’. Caratteristica molto comune fra le nuove leve. Ormai il rock è stato storicizzato, e chi vuole rispettarne tutti i canoni deve necessariamente compiere un’opera di rilettura del passato, più o meno integrale. Esattamente quello che fanno i Priestess.
Dietro alle loro composizioni nette e lineari, devote in tutto e per tutto alla forma – canzone, è percepibile l’ascolto di centinaia, se non migliaia di dischi. E ovviamente la metà di questi appartengono alle collezioni dei genitori dei quattro. Led Zeppelin, Deep Purple, Black Sabbath e tutto l’hard’n’heavy dei Settanta (southern compreso); ma pure il metal classico e la NWOBHM (Iron Maiden in primis), senza dimenticare un po’ di punk e qualche classico del thrash. Spostandosi verso tempi più recenti, impossibile non notare influenze mutuate dallo stoner e, in minor misura, dal grunge, anche se i Priestess sono soprattutto debitori verso band quali The Sword e Mastodon. E, in sintesi, il sound di “Prior To The Fire” potrebbe esser descritto come un incrocio fra lo stile di questi ultimi due nomi. La differenza è rintracciabile in un approccio più diretto e meno intricato rispetto a quello attuato dal quartetto di Atlanta, così come si predilige la ricerca della melodia orecchiabile a scapito degli effetti ‘epici’ perseguiti dai texani. Insomma, siamo dalle parti della cosiddetta New Wave Of American Heavy Metal, ma la maggior leggerezza d’insieme tiene i Priestess a una certa distanza dal metal tout court, e li avvicina piuttosto al manierismo Seventies dei Wolfmother, se non altro per affinità ‘spirituali’, poiché i Nostri sono comunque più aggressivi.
La mancanza di episodi eccellenti impedisce all’opera di imporsi definitivamente, e rivela una certa inesperienza da parte dei ragazzi, ancora in cerca di una dimensione sonora a loro interamente congeniale. Tuttavia canzoni come la rapida e scattante “Lady Killer”, la mastodoniana “The Firebird”, la maideniana “The Gem” e la sabbathiana “It Baffles The Mind” (mi rendo conto che sto citando caterve di artisti, ma dato il genere di lavoro preso in esame è impossibile non farlo) fanno bella mostra di sé e certificano il buon talento del complesso. Se sapranno osare qualcosa in più, nel futuro sentiremo spesso parlare di loro.
Stefano Masnaghetti