Sound Of Survival – State Of Mind – Sons Of A Dying World – The Wolves Are Loose – Never Die – Final Collapse – Endgame – Zeitgeist – The Hydra – Zero Hour – Under False Flag
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Fautori di un hardcore fiero, potente e politicizzato, con tanti richiami a band più blasonate (che sian del genere, come gli Hatebreed, o più metal, come gli Slayer), i tedeschi Born from Pain arrivano al traguardo del quinto disco, con un “Survival” che, a conti fatti, è un disco sufficiente, ma ben lontano da essere definito riuscito.
Il cambiamento fondamentale è “l’ingresso” come frontman del bassista storico della band, Rob Franssen. Un onestissimo cantante hardcore, che però porta in dote delle linee vocali piatte e monocorde: in alcune canzoni, come ad esempio “Zeitgeist”, la presenza di un cantante più versatile avrebbe giovato. Per il resto, il disco è il classico album metal/hardcore alla Hatebreed: tanti mid tempo, gli ormai famosi “tupa tupa”, i cori, gli anthem (come la riuscita “State of mind”) e parti che sembrano studiate a tavolino per scatenare infiniti circle pit e wall of death nei live. Un disco già sentito tante, troppe, volte negli ultimi anni.
Tolti dei temi più maturi ed impegnati politicamente rispetto alla media, infatti, siamo di fronte ad una serie di brani ben confezionati, ma praticamente uguali tra di loro, con un cantante che, all’esordio, non convince particolarmente. La domanda che viene spontanea, dopo una lunga serie di ascolti, è questa: questo “Survival” è un vero e proprio passo falso o un disco di transizione? O la band tedesca ha capito come fare soldi senza tanta fatica? Ai posteri l’ardua sentenza.
Nicola Lucchetta