[Hardcore] Trash Talk – Eyes & Nines (2010)


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Terzo album per i Trash Talk, band californiana (Sacramento, per la precisione) che in passato ha avuto l’onore di farsi produrre un disco da Steve Albini (il secondo, omonimo, del 2008) e di poter collaborare con Keith Morris (Black Flag/Cricle Jerks). Inutile dire che il quartetto si è guadagnato sul campo tali meriti e onorificenze, grazie a tour massacranti e una buona dose di ultraviolenza musicale.

“Eyes & Nines” prosegue con estrema coerenza il percorso musicale del gruppo. Nessun cedimento, alcuna esitazione. 10 brani compressi in appena 17 minuti di durata, con il curioso (ma non del tutto riuscito) esperimento doom/sludge “Hash Wednesday” quale unico episodio in grado di superare i 4 minuti di durata; le restanti 9 tracce son tutte comprese fra i 2 minuti e mezzo e i 39 secondi. E il suono si regola di conseguenza. Barrage chitarristico infernale, voce posseduta, sezione ritmica epilettica e potenza di sfondamento elevata al massimo grado. Hardcore di ultima generazione, anche se catalogarlo con prefissi come ‘post’ o ‘metal’ non è del tutto esatto: certo le influenze thrash metal ci sono, così come certo D – beat e una buona dose di Converge. Ma l’essenzialità delle strutture fa sì che i Trash Talk siano molto più legati alla tradizione rispetto ad altri complessi formatisi negli ultimi anni. In ogni caso i conti con la modernità li fanno eccome, tanto che il loro sound si potrebbe accostare a quello dei Trap Them (per la ferocia), dei Cancer Bats (per la foga della voce di Lee Spielman) e dei già citati Converge (per la frenesia e la latente schizofrenia). Colpiscono al volto le accelerazioni e i rallentamenti di “Flesh & Blood”, la furia scomposta di “Trudge” e “On A Fix”, la nevrastenia della title – track, con i suoi continui stop & go e la batteria incalzante. E prima che riusciate a rendervene conto la tempesta sonica si arresta di colpo.

Un buon lavoro, questo “Eyes & Nines”, senz’ombra di dubbio. Ma c’è già chi ne parla in termini talmente entusiastici che sembra di aver a che fare il nuovo “Jane Doe” o il “Group Sex” del terzo Millennio. Non è così. Si tratta, semplicemente, di un buon prodotto di genere, in bilico fra tradizione e innovazione, privo però di soluzioni realmente geniali e di balzi creativi inaspettati. Chi mastica hardcore e i suoi derivati lo apprezzerà, ma neppure si strapperà i capelli. Ottima routine, ma sempre di routine si tratta.

Stefano Masnaghetti

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