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C’è chi dice che la musica sia un’ottima terapia. Zakk Wylde deve averlo preso alla lettera: si è messo giustamente a sbraitare dietro al microfono di invasioni infernali e fiamme libere, mentre macina riff e assoli in shredding. In fondo, in un anno ha solo avuto grumi di sangue sparsi per i polmoni ed è stato licenziato dopo due decadi di servizio da Ozzy Osbourne. Quindi è più che una coincidenza se, rispetto al precedente “Shot To Hell” (2006), le ballads sono diminuite drasticamente. Saranno quindi contenti i fans che vogliono il barbuto chitarrista e la sua band belli pesanti e incazzosi. Certo, non siamo incazzati in stile 20 ‘fuck’ al minuto tipo uno “Stronger Than Death” (2000) dei tempi d’oro…ma si viaggia sulla buona strada.
Un disco pesante, quindi, meno commerciale delle ultime uscite e decisamente più veloce e ‘metallaro’ (a riguardo, calza perfettamente il debutto del doppiocassaro Will Hunt alla batteria). Zakk ci mette tutto il suo, che siano riff flangerati, col talkbox, wah a manetta, suoni saturi e sporchi, armoniche da matti e shredding su shredding (basterebbe l’intro di “Black Sunday”)…tanto da concedersi pure uno showoff acustico in “Chupacabra”. Molta effettistica sulla chitarra e sulla voce ma un risultato sempre abrasivo e saturo, in puro stile southern. Molto divertenti i singoli come “Crazy Horse” e “Parade Of The Dead”, così come i pezzi più stoner come “Overlord” e “Southern Dissolution” o d’assalto come “Goodspeed Hellbound”. Poche le ballad ma interessanti, come la conclusiva “January” e la classica “Darkest Days”. Un grande ritorno per Zakk e soci, grande soddisfazione per chi si aspettava delle belle scosse dal biondo.
Marco Brambilla