[Heavy Metal] His Witness – Kingdom Come (2008)

 

 

Everlasting Life – Kingdome Come – Last Days – Jesus Heals – Call On Him – Guard Your Heart – Pick Up Your Cross – Jesus Died For You – Love Of God – Party’s In Heaven

Sito Ufficiale dell’etichetta discografica

Chissà che faccia deve aver fatto il distinto signore che ripulendo il garage di Ken Redding (di professione cantante) si è ritrovato tra le mani l’incisione originale, datata 1988 di questo “Kingdome Come”? Non potendo rispondere a questo dubbio epocale mi attengo ai fatti, i quali narrano che la voce del ritrovamento giunse all’orecchio del produttore Bill Menchan le cui successive mosse si sono concretizzate nell’uscita, con un ventennio di ritardo rispetto alla registrazione, di questo interessante disco di classico hard & heavy americano.

Il risultato di questa riesumazione e della successivo restyling è un album di sano heavy metal che racchiude nelle sue dieci tracce tutti i clichè a sfondo stelle e strisce degli anni ottanta: un equilibrato mix di melodia ed apparente durezza che si alternano in modo naturale e che vengono impreziositi dal ruolo centrale del singer Ken Redding. Tali presupposti non possono che dare richiami stilistici alle composizioni dell’epoca targate Ronnie James Dio e, per alcuni versi, Judas Priest.
Se, musicalmente parlando, i collegamenti con le divinità per eccellenza dell’heavy metal sono significativi, ancor di più sono i rimandi, nei testi, ad un altro e ben più conosciuto Dio, o meglio, a suo figlio.
Eh si perché quello che vi ho sinora nascosto è che, come si potrebbe comunque capire dal moniker e dal titolo del disco, siamo al cospetto di un album di Christian Metal.
Purtroppo, come spesso accade, la buona idea di fondo viene eccessivamente enfatizzata e il messaggio della band diviene ripetitivo ed assillante. In tal senso l’utilizzo di metafore e messaggi meno assoluti avrebbero potuto permettere da una parte di ribadire le proprie convinzioni, dall’altra avrebbero garantito una maggiore fluidità di ascolto, ma forse era troppo forte la tentazione di poter annoverare tra i parolieri del disco personaggi altolocati nelle gerarchie celesti (buona parte delle liriche sono prese direttamente dalla Bibbia).
Nonostante ciò, i temi cristiani permettono anche alla band alcune sperimentazioni. Il class metal resta l’attore protagonista ma abbiamo delle sorprese, sia piacevoli, come il sorprendente connubio tra hard rock e gospel, sia spiacevoli, come il vero e proprio sermone di “Jesus Heals”.

Evitando di dilungarmi e di trasformare la recensione in un trattato teologico mi preme rispondere ad una domanda: cosa ci lascia questa operazione nostalgia? Sicuramente un buon disco, suonato con classe e gusto per la melodia che non potrà che essere apprezzato dagli amanti delle sonorità ottantiane per un piacevole, ma non tanto spensierato, viaggio con la macchina del tempo.

Marco Ferrari

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