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Ne è passata di acqua sotto i ponti dal 1982, anno d’uscita del debutto “Battle Hymns”, e dal 1980 anno di fondazione dei Manowar. Una delle band più amate dai fans e mal sopportate da tutti gli altri, ha deciso di registrare nuovamente l’album d’esordio.
Lasciando da parte effimere considerazioni relative all’originalità o all’opportunità di tale operazione, mettiamo subito in evidenza i fatti: non aspettatevi una semplice revitalizzazione del sound, i brani sono certamente quelli che conosciamo, ma suonano molto meno epici ed evocativi (specialmente Death Tone, Battle Hymn e Dark Avenger) di una volta, mentre autentiche fucilate heavy come Metal Daze, Fast Taker o Manowar guadagnano eccome da questa operazione di restyling. L’approccio vocale di Eric Adams è differente, molto più cattivo e barbaro con molta meno pulizia vocale sugli alti di quanto fosse prevedibile. Scelta voluta ed effettivamente necessaria, per valorizzare al massimo un cantante immenso che ha oramai alle spalle 56 primavere. Impressionante invece il muro di suono eretto da Hamzik e DeMaio, batteria e basso esplodono letteralmente nel subwoofer e gratificano casse adeguate in ogni passaggio.
Non è un compito facile per un fans della vecchia guardia avvicinarsi ai nuovi Inni di Battaglia, uscita che potrà regalare adrenalina a fiumi ma anche lasciare perplessi nell’ascoltare Sir Cristopher Lee su una Dark Avenger 2010 che, urlo centrale di Adams a parte, regala poche emozioni contrariamente all’originale. Alti e bassi quindi, ma è da accettare che i Manowar del 2010 non siano più i selvaggi e incontrollabili esecutori degli anni ottanta, come dimostrato dalle due live bonus track, datate appunto 1982, ma siano bensì oramai una Band arrivata, che ha fatto la storia e che non ha proprio più nulla da dimostrare a nessuno. Nota di merito per il booklet, contenente alcune foto dell’epoca veramente di culto. Attendiamo ora il nuovo disco di inediti e l’auspicabile ritorno sui palchi italiani.
Paolo Sisa