E’ la fine degli anni ’80, vado alle elementari. In casa di un amico, il fratello maggiore ha questo poster degli Helloween. Il cantante mi pare somigliare a quello degli Europe, ma la loro musica non è roba che metti su per l’ultimo dell’anno: ha una voce a cannone esaltante e ti viene voglia di mettere il giubbino di jeans con le toppe. E’ la fine degli anni ’90, vado alle superiori. Il singer degli Helloween è un altro, ma hanno delle chitarre che ti rivoltano come un calzino e sembrano gli unici salvatori del metallo in un periodo in cui i grandi vecchi del settore sono rincoglioniti e i giovani rappano. Quando gli Iron Maiden se li portano dietro in tour, il pubblico è là per loro.
E’ l’inizio della seconda decade degli anni 2000, non abbiamo capito un cazzo dei Maya, noi ci siamo ancora, gli Helloween ci sono ancora. Metto su “Straight Out Of Hell” a cannone sull’iPod, mentre passo l’aspirapolvere. Mi chiedo: mi verrà voglia di fare air guitar con l’aspirapolvere? La risposta è no. Purtroppo.
La crescita artistica della band tedesca è durata fino a The Dark Ride (2000), ultimo vero classico, tutto quello che ne è seguito sono stati album ottimamente prodotti e confezionati ma dove ormai spesso manca il mordente, mancano i riff, manca la gioia cazzona che li ha contraddistinti.
Perché? Perché Andi Deris è l’unico ormai che si sbatte da anni per tenere su la baracca ma le sue forze da sole non bastano più: suo è il singolo “Nabatea”, e la storia dell’antico regno svetta all’interno del disco grazie al suo lungo concentrato di speed metal pieno sia di ritornelli memorabili che di momenti più sinfonici. Il resto non è alla stessa altezza, tipo l’inutile intermezzo “Wanna Be God”.
Il veterano Weikath ormai se mette giù due pezzi in croce è un evento; è un peccato, dato che dovrebbe essere lui il maestro, e quando si impegna tira fuori qualcosa di decente (come “Burning Sun”, dove Deris si sgola tipo Rob Halford in Painkiller). E le cose buone finiscono praticamente qui.
Guaio principale della band è che i membri più giovani non sono all’altezza degli illustri predecessori. Daniel Loble alla batteria picchierà anche come un fabbro ma non ha né la classe, né la tecnica, né le capacità compositive di Uli Kusch. Sascha Gerstner alla chitarra fa la sua porca figura ma i suoi pezzi e i suoi assoli si dimenticano dopo mezzo secondo (riesce a rendere inoffensivo anche un brano come “Asshole”).
Menzione finale per l’altro veterano, l’inossidabile bassista Marcus Grosskopf: bello notare come nel corso degli anni il suo contributo alla scrittura dei pezzi sia stato sempre più consistente…ma le sue opere, a onor del vero, sono il più delle volte a livello di b-side. Un disco in linea con le ultime produzioni dei Nostri, adatto agli irriducibili del power/speed metal, ma che soffre della mancanza di quella scintilla di originalità e unicità che ha sempre contraddistinto gli Helloween di una volta.
Marco Brambilla
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