Sesto album per gli High On Fire, band che nel corso dell’ultimo decennio si è guadagnata una solidissima reputazione nell’ambito del metal più feroce e in combutta con stoner, sludge e doom. Fondato nel 1998 dall’ex Sleep Matt Pike (voce e chitarra), il gruppo statunitense ha iniziato il proprio percorso avvolto nelle spire di un doom psichedelico in cui erano ancora chiari i riferimenti all’approccio lisergico e reiterativo tipico dell’ex complesso del leader. Tuttavia, nel giro di un paio di dischi lo stile è mutato, portando i Nostri all’heavy muscolare e di stampo Motorheadiano che lavori come “Blessed Black Wings” (2005), “Death Is This Communion” (2007) e “Snakes For The Divine” (2010) hanno saputo dispensare a piene mani. E con “De Vermis Mysteriis” il discorso non cambia, anzi si rincara la dose.
Gli High On Fire sono sempre più tonanti e violenti, e la componente metal è ormai predominante su tutto il resto. Grazie anche all’ottima produzione di Kurt Ballou dei Converge, i dieci brani presenti nel cd possiedono un impatto sonoro davvero enorme, soprattutto quando i tempi si fanno più rapidi e Pike e soci hanno modo di sferrare i loro attacchi all’arma bianca. Il terremotante intro batteristico di “Serums Of Liao” ricorda quello di “Painkiller” dei Judas Priest, tanto per rincarare il concetto che il classic metal è ormai elemento fondante del sound del gruppo; poi è tutto un susseguirsi di riff grassi e spessi che vengono enfatizzati dalla voce scartavetrata di Matt, sempre più somigliante a quella di un Lemmy cresciuto a pane e stoner. “Fertile Green” lambisce addirittura il thrash metal nella sua versione più primitiva e selvaggia, mentre la successiva “Madness Of An Architect” rallenta (relativamente) il battito per assestarsi su binari più classicamente sludge, con un tocco southern che la pone fra gli episodi più riusciti dell’opera. L’unica oasi di tranquillità la si trova in “Samsara“, pezzo interamente strumentale, velato di psichedelia e posto nel mezzo dell’LP, quasi si volesse spezzare in due la trance ferina che “De Vermis Mysteriis” continua ad elargire anche nelle tracce rimanenti, fra cui vanno citate ancora “Spiritual Rites“, altro esempio di immane groove thrash/stoner, e la conclusiva e scurissima “Warhorn“, macigno di doom bluesato che chiude l’ascolto nel modo più fosco possibile.
Un ottimo ritorno, che pone ancora una volta gli High On Fire fra i migliori esponenti del nuovo metal, scaturito dalla fusione di architetture classiche e saturazioni soniche mutuate dall’hard rock dei Novanta. Manca forse un po’ di fantasia rispetto a quanto la band seppe offrire nelle sue prove più ragguardevoli, ma non ci si può proprio lamentare. Promossi ancora una volta.
Stefano Masnaghetti
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