Rio Grande Blood – Senor Peligro – Gangreen – Fear (Is Big Business) – Lieslieslies – The Great Satan – Yellow Cake – Palestina – Ass Clown – Khyber Pass
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Ormai l’abbiamo capito tutti: Al Jourgensen odia così intensamente Bush che quest’ultimo è diventato la sua fissazione assoluta, almeno da due album a questa parte. Peccato che questa nuova vena polemica anti – militarista e questo livore verso l’attuale governo Statunitense sembrino funzionali a nascondere il netto isterilimento creativo che sta colpendo sempre più l’ispirazione di Al. A nulla serve, infatti, avere in formazione gente del calibro di Tommy Victor (Prong, Danzig) e Paul Raven (Killing Joke, Prong), se il songwriting risulta piatto e scontato. Purtroppo non uso queste due parole a caso: “Rio Grande Blood”, già al secondo ascolto, mostra la corda, risultando un indigesto calderone di clichè speed – industrial metal presi a prestito dal loro storico disco “Psalm 69”; ma infinitamente meno ispirato e totalmente anacronistico. Per più di 50 minuti si assiste ad un cieco bombardamento di beat elettronici e di sciabolate thrash (a dir la verità ormai c’è molto più metal che elettronica), con il piede quasi sempre fisso sull’acceleratore: per i primi due pezzi il gioco tiene, dopodichè la noia prende il sopravvento. Ci si rende conto che avevamo già sentito tutto questo, e per giunta fatto mille volte meglio: basta rispolverare il micidiale trittico “The Land Of Rape And Honey – The Mind Is A Terrible Thing To Taste – Psalm 69” per averne la sicurezza. In quanto a bruttezza, il già mediocre “Houses Of The Molè” risulta ampiamente superato. Certo, ascoltato a tutto volume “Rio Grande Blood” può comunque dispensare forti dosi di adrenalina, ma fa male al cuore realizzare come un gruppo enorme, che tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta aveva creato una perfetta fusione fra gli incubi dell’elettronica e quelli del rock estremo, sia caduto così in basso. Meglio allora i Ministry incompiuti ma più coraggiosi di “Filth Pig”, rispetto a questa rilettura posticcia del loro momento d’oro. La domanda è sempre la stessa: che significato ha per i Ministry fare uscire un disco così, nel 2006?
S.M.