Certi dischi sono destinati a far discutere perché suscitano opinioni contrastanti: o si amano o si odiano. Certi altri, invece, creano al loro interno questa sorta di dicotomia che porta colui che ascolta ad una sorta di montagna russa emotiva, fatta di momenti memorabili ed altri da dimenticare. Uno di questi casi è sicuramente “Plains of Oblivion“, il secondo album di Jeff Loomis, ex chitarrista dei Nevermore.
Ci sono molte punte di diamante, condite da virtuosismi e riff talmente belli da poter invogliare chiunque ad intraprendere lo studio della chitarra. Inoltre è palese che gran parte del sound dei Nevermore provenisse dal suo talento (l’esempio lampante è “The ultimatum”, la traccia più nevermoriana dell’intero full length). “Escape Velocity” è furiosa, travolgente come un tornado in tutto il suo tripudio di perfezione e velocità, cosa che si può dire anche di “Sybilline Origin”, ma Loomis fa intravedere un angolino della sua parte più intima grazie a “Rapture”, molto melodica ed introspettiva. Insomma la cattiveria del metallo che tanto ci aggrada e che è capace di offrire anche momenti più raccolti. E allora qual è il problema? Le tre tracce cantate! Si salva solamente “Chosen Time”, che vede alle parti vocali Christine Rhoades. Una classica ballad, non il pezzo meglio riuscito del chitarrista ma nemmeno il brano peggiore. Da dimenticare, invece, “Tragedy and Harmony”, sempre con la Rhoades alla voce con un cantato che sembra quasi piazzato a caso, e “Surrender”, con l’urlato di Ihsahn che con questo sound risulta molto fastidioso.
Un gran peccato, perché senza i brani cantati questo sarebbe stato un disco da 3.5-4 stelle su 5, uno dei fondamentali usciti nel 2012 per gli amanti del genere.
Claudia Falzone
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