Karma To Burn – V

Karma To Burn V Recensione
Dopo la reunion avvenuta nel 2009, i Karma To Burn hanno deciso di recuperare tutto il tempo perduto, così nel giro di due anni hanno sfornato ben due dischi, oltre a tornare a suonare on stage regolarmente. Il nuovo “V“, che come indica il titolo è la loro quinta fatica in studio, non aggiunge né toglie molto a quanto fatto sul precedente “Appalachian Incantation“, anzi si segnala quale sua ideale prosecuzione. In realtà ogni disco della band americana può esser visto come un’appendice del suo predecessore, e questa è la forza e allo stesso tempo la debolezza dei Nostri, ossia esser un act che negli anni si è costruito una micro nicchia in cui è capace di fare il bello e il cattivo tempo, ma dalla quale non è in grado di uscire. Però sono onesti, i Karma To Burn, e quello che suonano corrisponde esattamente alla loro idea di musica: uno stoner rock strumentale di grande intensità, carico di vibrazioni desertiche e trip acidi. Non c’è trucco non c’è inganno, prendere o lasciare.
“V” consta di 8 tracce per una durata totale di neppure 40 minuti. Come “Appalachian Incantation”, anch’esso non è un disco solo ed unicamente strumentale, infatti in ben tre brani appare la voce di Daniel Davies, cantante degli Year Long Disaster che per un breve periodo ha persino partecipato ai loro tour: uno di questi è una bellissima cover di “Never Say Die” dei Black Sabbath, magari non sconvolgente, ma realizzata con tale passione e sincera devozione verso Iommi e compagni da risultare quasi commovente. Il resto dell’opera è la consueta detonazione di riff archetipici stoner – blues, simili a quelli che potrebbero scaturire da una jam fra Kyuss e Fu Manchu. L’apripista “Forty-Seven” è un po’ più cupa rispetto alla media, contendendo al suo interno elementi metal, mentre “Forty-Eight” è una delle loro creazioni più riuscite di sempre, dal tiro pazzesco.
Non hanno mai composto un capolavoro, i Karma To Burn, ma neppure hanno mai rilasciato un album davvero brutto. Sono sempre stati costanti nel mantenere una qualità medio – alta, e “V” non fa eccezione. Di più: rispetto ad “Appalachian Incantation” è persino un pelo più a fuoco e meno dispersivo. A chi non sono mai piaciuti non piaceranno neanche adesso, chi invece li ha sempre apprezzati si procuri questo LP senza pensarci più di due secondi.
Stefano Masnaghetti

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