Jesse Leach e Mike D’Antonio (quando avevano ancora qualche capello in testa) ci avevano detto al Gods Of Metal 2012 che il gruppo stava componendo un disco veloce e molto pesante, con le solite aperture melodiche a cui i Killswitch Engage ci avevano abituato. Fondamentalmente “Disarm The Descent” è questo, una sorta di ritorno alle origini coniugato con la vena più heavy e classica che aveva visto i KsE con Howard Jones alla voce mietere successi e ottenere posizioni nei bill dei festival sempre più alte dal 2004 in poi.
L’approccio diretto e furibondo dell’opener e di “New Awakening” si amalgamano da dio con le più orecchiabili “Beyond The Flames” e “In Due Time“. Queste ultime in particolare faranno piangere di nostalgia (in segreto e lontano da occhi indiscreti, si sa i metalloni non piangono mai anche se hanno un cuore d’oro, ndr) chi associa al monumentale “Alive Or Just Breathing” periodi importanti della propria vita: sentire le voci della coppia Leach-Dutkiewicz duettare è sempre una bella cosa, ne avevamo bisogno dopo lo shock libidinoso che ci provocò “Strength In Numbers” del progetto Times Of Grace qualche anno fa.
“A Tribute To The Fallen” se la viaggia di brutto e, benché sia un comunissimo pezzo metalcore come tanti altri che gli stessi Killswitch hanno composto da un decennio a questa parte, fa apprezzare ancora di più la ritrovata ruvidità dell’ugola di Jesse. “All That We Have” è un altro tupatupa tiratissimo, anche “The Call” non ci va leggera coi bpm, contiene dei riffazzi interessanti e ancora un blast beat estemporaneo che fa di questa traccia la più sparata di tutte. Nella seconda metà di disco tuttavia, l’eccessivo ripetersi di strutture e soluzioni già sentite internamente allo stesso album, provoca qualche sbadiglio, nonostante l’intensità si mantenga comunque elevata, specialmente in “Always“.
“Disarm The Descent” non è un capolavoro ma un cd godibile e accattivante specialmente per chi attendeva con ansia il ritorno di Leach dietro al microfono. L’abilità e la professionalità dei Nostri, ha permesso loro di confezionare un comeback praticamente inattaccabile denso di mestiere, cosa che dovrebbe garantire alla band un agevole ritorno sul trono del metalcore mondiale. Consigliato senza remora alcuna, a patto che non vi aspettiate un “Alive part II”, sareste completamente fuori strada.
Paolo Sisa
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