E’ iniziato più o meno così: ho preso in mano il primo disco dei La Fine, l’ho rigirato tra le dita, ho iniziato a leggere i titoli ad alta voce. “Precipizio”, “La nostra vita tra 1000”, “Cemento”, “Il futuro è un tempo sbagliato”, “Ilaria”, “Verrà la fine”, “Perché la gente nasce”. Ho alzato lo sguardo alla porta del bagno e abbiamo detto all’unisono: allegria. Con la voce di Mike Bongiorno. Fra si stava sforbiciando i peli pubici. Io fissavo il disegno a onde che si delineava sul suo basso ventre, mentre è partito il primo pezzo dallo stereo. Urla e assalto sonoro dritto. Un tuffo nello scremo-hardcore con passaggi strumentali post. Dentro al pessimismo nero di vita, sbattuto fuori dai denti. Dentro una stanza a gridare lo scontento. Lo struggimento. A volume altissimo. Mi sdraio per terra. I primi brani filano davvero bene. Potenti. Sentiti. Alzo ancora il volume così che anche lei sotto la doccia possa ascoltarli.
Intanto vado a leggere qualcosa sul loro conto. Dico la verità, tutti questi nomi che hanno a che fare con il disco, da Zen Circus ai Cani, mi portano su un campo che esula dal disco in sè. Questa riserva indiana di un certo indie nostrano cerco di lasciarla da parte. Almeno per la mezz’ora in cui il disco corre come un treno lanciato senza freni simile a quello del film “A 30 secondi dalla fine”.
La guardo sotto la doccia e alzo il volume della mia voce, sopra la musica e lo scrosciare dell’acqua. Hanno un buon tiro. Ci sono alcune banalità e tanti rimandi. Ma a volte vanno davvero a segno. Magari dovrebbero evitare di essere simili per forza a qualcuno. Fine Before You Came, Altro, e poi Raein e La Quiete rimangono lì, quasi un altare. A proposito del loro nome… Tolgo i vestiti ed entro nella doccia.
Luca Freddi.
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